Il trattato Roma-Parigi fa bene anche all’Europa

Stefano Stefanini

Oggi, con un trattato bilaterale, i Presidenti italiano e francese aprono anche una prospettiva europea. Il Trattato del Quirinale dev’essere anche un trattato per l’Europa. Non solo grazie alle credenziali europeiste dei due leader ma perché, entro l’Ue, propone una dimensione cooperativa italo-francese accanto a quella, consolidata e collaudata, franco-tedesca. Per coincidenza temporale, a Berlino l’accordo di coalizione socialdemocratici-verdi-liberali nomina Olaf Scholz prossimo cancelliere. Il dopo-Merkel in Germania inizia mentre l’Italia fa un salto di statura grazie all’accordo con la Francia. Il triangolo Berlino-Parigi-Roma diventa più equilibrato.

Il Trattato del Quirinale si presta a varie letture: bilaterale; di ricadute sulla politica estera dei due contraenti; di assestamento nei confronti della Germania, alla vigilia del nuovo corso; di effetti collaterali sull’Unione europea e sull’Alleanza Atlantica di cui Francia e Italia sono membri.

Nei rapporti italo-francesi è provvidenziale. Mette una pietra sopra recenti infantilismi. Getta le basi per lavorare insieme anziché farsi un’irrilevante concorrenza post-coloniale in Nord Africa dalla Libia al Sahel. Consolida la comunanza d’interessi economici emersa nel negoziato Ue sul “recovery fund” (Ngeu). Quest’ultimo è da considerare il collante principale. Entrambi i nostri Paesi ritengono essenziale che l’Ue mantenga una politica fiscale espansiva per sostenere la ripresa. Specie con il Covid ancora in circolazione.

Le regole fiscali dell’Ue saranno il nodo essenziale da sciogliere con Berlino. Esiste uno schieramento “nordico-frugale” che vuole tornare rapidamente ai vincoli di bilancio e di deficit del Patto di Stabilità.

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