Se la politica ascolta il Paese

Stefano Lepri

Si stenta a crederci: sul fisco, ai contrasti fra i partiti della maggioranza si è trovata una soluzione abbastanza razionale. Sette degli 8 (non molti) miliardi disponibili andranno a ridurre l’Irpef ai ceti medi. Può essere un segno che la politica italiana è meno peggio di quello che sembra. Nelle settimane scorse, si era assistito a un accavallarsi delle richieste più strambe, compresi abbuoni a chi le tasse non le vuole pagare. Ormai è scontato che la propaganda politica funzioni così: per farsi notare occorre agitare le frazioni di elettorato più esasperate, pur se piccole. Spostano voti più facilmente, e comunque si vedono di più. Ma alla fine, tutti i partiti di questa maggioranza raccolgono la maggior parte dei voti nei ceti medi. Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco hanno saputo farsi interpreti di questo. Hanno persuaso a dare ascolto alla più larga parte del Paese oltre il frastuono degli interessi particolari più rumorosi. Certo gli sgravi saranno limitati. Il carico fiscale sugli italiani è alto perché deve pagare una spesa pubblica alta, che da oltre un quarto di secolo non è stata mai ridotta da tutti quanti promettevano di ridurla. Ed alto il carico fiscale è probabile che resti in futuro perché la pandemia spinge a spendere di più per la sanità, il cambiamento del clima spinge a investire per contrastarlo.

Si può però distribuirlo meglio, il peso del fisco, per non scoraggiare chi lavora e produce. Una delle opzioni valide (se forse non la migliore) era questa, rimettere a posto la curva che fa salire il prelievo al crescere dei redditi della fascia media e medio-alta. Diventerà un poco più vantaggioso darsi da fare per un aumento di stipendio, o sforzarsi di aumentare i ricavi. Invece, una profonda riforma del fisco ancora non si delinea. Ai lavoratori, e anche alle imprese, si potrebbe dare di più se si avesse il coraggio di tassare almeno un poco i patrimoni, con alcune delle misure che in Italia paiono da estremisti ma che vigono nella gran parte dei Paesi democratici. Per contenere le spese occorrerebbe poi che gli enti locali fossero responsabilizzati con entrate proprie, in modo da lasciar decidere ai cittadini con il voto se vogliono meno tasse, ma a fronte di meno servizi, oppure più servizi, ma anche più tasse. Gli sgravi all’Irap – tributo destinato a finanziare le Regioni per la sanità – seppur graditi ai beneficiari non vanno in questa direzione. Quando Draghi aveva inserito nella manovra 2022 anche la riforma fiscale, era lecito chiedersi perché si fosse cacciato volontariamente in quel ginepraio, dato che su questo tema sensibile ogni partito avrebbe cercato di distinguersi con una proposta propria. Invece è riuscito a uscirne facendo, almeno al momento, contenti tutti i partiti.

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