Riforme (e partiti) al palo: perché nulla è pronto in caso di elezioni anticipate

di Francesco Verderami

Per il voto nel 2022servirebbero nuovi regolamenti parlamentari dopo la riforma del taglio di deputati e senatori. Ma si parla solo della corsa al Quirinale

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Draghi doveva essere la loro «safety car» ma dopo nove mesi i partiti sono ancora ai box. All’ombra del governo di larghe intese, nato per gestire la pandemia e l’attuazione del Pnrr, il sistema politico avrebbe il tempo per rendere agibile la pista prima di tornare a competere. E invece, mentre il premier parla di cambiare in Europa il Patto di Stabilità, le Camere in Italia nemmeno riescono a discutere sulle riforme che le competono e che peraltro interessano direttamente i partiti: se non la modifica della Costituzione o della legge elettorale, servirebbe almeno modificare i regolamenti parlamentari, che avranno grande rilevanza nella prossima legislatura visto il taglio di deputati e senatori. L’innovazione — varata frettolosamente e senza dare seguito ai necessari contrappesi — inciderà infatti sulla vita quotidiana del Palazzo, tra i lavori delle commissioni e l’attività delle Aule. E avrà quindi un impatto anche sull’azione del governo.

Si tratta di una riforma neutra, che già si sarebbe potuta approvare senza influire nelle competizioni elettorali che in questi mesi hanno impegnato i partiti. Se non è andata (finora) così il motivo è chiaro: le forze politiche sono ripiegate su se stesse, divise al loro interno più di quanto non lo fossero prima dell’avvento di Draghi, e dunque non sono in grado di trovare un punto di convergenza. Ecco perché — come riconosce un autorevole ministro — «finora sul terreno degli interessi comuni in Parlamento non si è costruito nulla. Per certi versi è un’occasione persa»: «Il fatto è che l’attenzione è concentrata su altro». Cioè sul Quirinale, che è «fattore condizionante» per dirla con il centrista Quagliariello: «E siccome al momento non si capisce niente, bisognerà attendere l’esito della vicenda presidenziale per sapere se dopo si aprirà una stagione di riforme o si precipiterà verso le urne».

Ecco il punto. In Parlamento, in modo trasversale, cresce la percezione che la legislatura abbia esaurito il suo corso, a prescindere dall’esito della corsa al Colle . Non a caso nei partiti l’interesse primario di peones e dirigenti si va focalizzando sulle liste elettorali. Lo si è notato nella Lega, quando Salvini ha annunciato la Conferenza programmatica. Ed è evidente nel Pd, dove il rimescolamento delle correnti anticipa uno scontro all’arma bianca: questione di vita o di morte visto che la prossima volta ci saranno meno seggi per tutti.

Inevitabilmente le tensioni interne si riflettono sulla partita del Quirinale e provocano un corto-circuito nei partiti. Il conflitto nel Movimento non fa più notizia: giorni fa in Transatlantico un gruppo di grillini «tendenza Di Maio» sosteneva animatamente che «non si può delegare a Conte la trattativa» sul capo dello Stato. «E comunque — ha chiosato ad alta voce uno dei presenti — se ci sarà Casini, io voterò Casini». In Forza Italia l’attivismo di Berlusconi deve fare i conti con la fronda di quanti denunciano di esser stati messi da parte. Nel Pd c’è un caleidoscopio di posizioni, che va da chi — come Portas — è pronto a dare «un oscar alla carriera a Berlusconi», a chi — come Ceccanti — accende ogni giorno un cero votivo perché «vedrete che sarà rieletto Mattarella». E si avverte tra i dem un fronte anti-Draghi, a cui un esponente della segreteria come Boccia dà elegantemente voce: «Abbiamo ancora bisogno del talento del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi»…

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