Covid in Austria, il cancelliere: «Multe salate a chi non si vaccina, con il 34% di no vax non se ne esce»



Le sue misure e annunci hanno già sortito effetti?

«Vedo i primi sviluppi positivi ma i numeri rimangono alti. La situazione è molto seria. L’accordo è di cessare il lockdown il 10 dicembre e spero saremo nelle condizioni per farlo, ma solo per la parte vaccinata della popolazione. Anche dopo quel giorno, l’ingresso in tutti i locali o gli eventi pubblici rimarrà vietato ai non vaccinati, che spingono in alto i contagi e rappresentano l’80% dei casi più gravi».

Riuscirete a salvare la stagione sciistica?
«“Lo spero. Ho già detto che sarà un Natale 2G: chi non è vaccinato o guarito, non avrà accesso a ski lift, piste, rifugi e alberghi. Ma dobbiamo anche monitorare quanto succede nei Paesi vicini: la Germania sta avviando un lockdown. Una cosa per me è chiara, non accetterò restrizioni di viaggio. La differenza con il 2020 sono i vaccini: perché uno che ha fatto la terza dose dovrebbe essere limitato nei movimenti? Spingeremo per questo punto in sede europea”.

Perché la resistenza ai vaccini è più forte in Austria e Germania e in particolare nelle aree di montagna o nelle regioni della ex Ddr?
«Non sono un esperto. Ci sono ragioni sociali, storiche. C’è sicuramente una parte della popolazione di lingua tedesca che guarda con scetticismo alla scienza e preferisce curarsi con metodi naturali, la cosiddetta Naturmedizin. Ma ripeto, noi abbiamo forze politiche che agiscono contro la scienza. Non ultimo ci sono i nostri errori, di tutti. Non avremo mai il 100% di vaccinati, ma possiamo avvicinarci con una campagna mirata. Ci sono anche altre varianti, come la Omicron contro cui stiamo agendo rapidamente: niente ingresso per chi viene dal Sudafrica, stop ai voli diretti, appello a chi è tornato nei giorni scorsi da quel Paese o dai Paesi confinanti perché si registri e si faccia testare».

Il dittatore bielorusso Lukashenko ricatta l’Europa, ammassando migliaia di rifugiati ai suoi confini orientali. Che fare?
«Dobbiamo dire chiaramente che l’Unione europea non si fa ricattare. Quello di Lukashenko è un cinico abuso dei più deboli fra i deboli. L’Austria è al fianco di Polonia, Lituania e Lettonia. Dobbiamo aiutarli finanziariamente a installare le necessarie infrastrutture ai confini. Dobbiamo anche agire nei Paesi d’origine come Turchia, Iraq e altri perché cessino i voli che portano i profughi in Bielorussia. Dobbiamo imporre sanzioni personali contro Lukashenko e i suoi sgherri che hanno organizzato questo traffico di esseri umani, un crimine orribile nel XXI secolo».

Questo prende tempo, non dovremmo intanto accogliere quei disperati? «Conosco la loro sofferenza. Ma dobbiamo far pressione su Lukashenko che ha creato questa situazione, perché li riprenda e li tratti umanamente. Altrimenti daremo la prova ai trafficati di anime che puoi creare queste situazioni e l’Europa cederà».

Perché l’Europa dovrebbe finanziare muri e barriere?

«Conosco il dibattito, ma è troppo angusto. L’ho detto all’ultimo Consiglio europeo. Primo, dobbiamo usare i fondi esistenti per le infrastrutture a difesa dei confini esterni. Secondo, non vedo perché i contribuenti polacchi o lituani debbano pagare il conto per il controllo delle frontiere comuni. L’Europa è una casa, le sue porte devono essere sicure. Dobbiamo sostenere tutti i Paesi che sono alle porte di Schengen, compresi Italia, Spagna e Grecia. Non si tratta di una barriera o di un muro, ma di droni e altre infrastrutture con cui controllare efficacemente i confini. Se non siamo in grado di decidere chi entra e chi no, i trafficanti avranno vita facile. Ho detto di sì alla decisione del Consiglio perché non è giusto che i contribuenti italiani si accollino il costo di guardare i confini marittimi dell’Europa. La stessa cosa vale per la Polonia, che merita la nostra solidarietà».

Si potrebbe argomentare che la solidarietà dev’essere nei due sensi e che la Polonia è fra quelli che non hanno accettato di prendersi un solo rifugiato nel cosiddetto meccanismo di redistribuzione.

«La Polonia ha accolto più di 1 milione di rifugiati ucraini. Io parlo a nome di un Paese che ha pro capite più di tre volte il numero dei rifugiati dell’Italia».

Non ho menzionato l’Austria.
«Voglio solo dire che anche noi soffriamo la migrazione illegale. La proposta della Commissione è un sensibile equilibrio intellettuale tra solidarietà e responsabilità. Ma ci saranno sempre Paesi che non accetteranno la redistribuzione. Però possono contribuire in modo diverso. Io metto in guardia dal ritentare questo approccio, è un tema politicamente esplosivo e molto emotivo. In questa fase dobbiamo dire che un leader antidemocratico sta provando a ricattarci e che è dovere dell’Europa – 450 milioni di persone e 27 Paesi – stare con fermezza al fianco della Polonia».

Vladimir Putin sta subordinando le forniture extra di gas russo all’Europa al sì finale all’entrata in funzione del Nord Stream 2. Non è un’altra forma di ricatto?

«Con o senza il Nord Stream 2, siamo in qualche modo dipendenti dal gas russo. È un fatto. Sono d’accordo che nel lungo periodo dobbiamo ridurre questa dipendenza da Mosca. Ma non penso che il Nord Stream 2 la faccia aumentare. Anzi, aprendo una nuova strada diversifica le vie di approvvigionamento. Comunque, la Russia ha sempre rispettato gli accordi, il problema ora è che non aumenta le forniture. Penso che in ogni caso si debba procedere con il gasdotto sotto il Baltico».

Il Next Generation EU è un’azione una tantum o un modello per il futuro? E qual è la sua posizione sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita?
«Il Recovery Fund è stato un segnale positivo che prova la capacità dell’Ue di agire nei momenti di crisi. È più grande del Marshall Plan, è il maggior pacchetto di finanziamenti mai deciso in Europa. Ma è nato da una crisi e dal mio punto di vista è limitato nel tempo e non può essere un modello per qualcosa che potremmo fare di nuovo insieme nel futuro. Noi non vogliamo un’unione fiscale o del debito permanente. Quanto al Patto, siamo tutti in una situazione straordinaria ed è stato giusto sospenderlo. Ma le ragioni della sua esistenza sono ancora lì. Per questo dovremo tornare alla disciplina di bilancio, senza la quale non ci sarà spinta per riformare i sistemi pensionistici, sanitari e il mercato del lavoro, tutte questioni da affrontare per le nostre società che invecchiano. Apprezzo che il futuro governo tedesco mandi segnali di voler tornare al Patto, magari rendendolo più efficace e trasparente».

Lei è stato definito «cancelliere per caso». Si sente un precario? E quale sarà il futuro del suo predecessore Sebastian Kurz?

«Il modo in cui sono diventato cancelliere ha sorpreso anche me. Non ho cercato questo incarico. Ero ministro degli Esteri e avevo un buon rapporto, fra gli altri, con Luigi Di Maio. Non vedo l’ora di poterlo continuare anche con il premier Mario Draghi. In verità abbiamo avuto una crisi politica seria, un vero terremoto, e l’ex cancelliere Kurz si è dimesso. Ma io ho giurato da cancelliere e, nel rispetto della Costituzione, intendo rimanere fino alla fine della legislatura nel 2023 esercitando in pieno le mie prerogative. Kurz guida il partito (la ÖVP n.d.r.) e il gruppo parlamentare. Insieme lavoriamo bene. Mi aspetto che tutte le accuse che lo riguardano vengano indagate e smentite dalla magistratura. Ma in questa situazione darò del mio meglio per far lavorare il governo a pieno regime».

Angela Merkel sta per uscire di scena: come sarà ricordata in Europa e cosa si aspetta dal nuovo governo tedesco?
«Angela Merkel ha lasciato una forte impronta nell’integrazione europea negli ultimi 16 anni. Ha sempre cercato di forgiare compromessi, mettere le persone intorno al tavolo, trovare terreno comune. È stato un approccio molto europeo e questo è il suo lascito. Quanto al prossimo governo, ho grandi aspettative. La Germania è cruciale per l’Unione e un vicino molto importante per noi. Ci sono cose molto interessanti nel programma di governo. Sono felice di vedere che il ministero delle Finanze andrà alla Fdp, una buona notizia dal nostro punto di vista. I Verdi hanno una linea molto europea e questo sarà utile perché il processo di integrazione ha bisogno di una nuova spinta. Vede, io sono favorevole ad avere una Commissione geopolitica, ma prima di cominciare a parlare del Grande Medio Oriente o dell’Indo Pacifico, e questa è una cosa che condivido con i miei colleghi italiani, dobbiamo parlare dei Balcani occidentali, della partnership orientale, del Nord Africa, cioè i nostri vicini. Il nostro compito geopolitico dei prossimi anni è di esportare il nostro modello di vita verso quei Paesi, facendone stabilmente dei partner, nel caso dei Balcani occidentali, membri a pieno titolo della Ue».

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