Quirinale, Anna Finocchiaro e le donne nel totonomi sul Colle: ci sono, non vengono viste
«Quando si arriva alla fine dell’imbuto, scompaiono». Nel 2006 Prodi l’avrebbe voluta al Colle: «Non c’era una vera possibilità»
Lei sull’argomento sfoggia quella flemma che è un tratto distintivo dei siciliani (è nata a Modica il 31 marzo del 1955). Troppe volte Anna Finocchiaro è finita nel totonomi del Quirinale. La prima nel 2006, quando Romano Prodi, che la conosceva bene (era stata, nel suo primo governo, ministra della Pari opportunità, un dicastero che era una novità assoluta per l’Italia), ebbe a dire: «Ci vorrebbe un segnale di novità per la presidenza della Repubblica, ci vorrebbe una donna».
Finocchiaro non andò al Colle, ma certo non si macerò tra rimpianti e recriminazioni: «Secondo me non c’era nessun possibilità concreta che accadesse». Anche perché allora l’Italia era molto indietro su quel fronte, persino più di oggi: le donne, in politica come su altri terreni, facevano una gran fatica a imporsi. Adesso non è che fili proprio tutto liscio come l’olio da questo punto di vista. Ma ora, pure lei ne è convinta, la possibilità di una donna (non parla di sé, è un errore che non commetterebbe mai) al Quirinale apparirebbe più a portata di mano. «In giro c’è tanta competenza femminile e in Italia ci sono donne che hanno la qualità, l’esperienza, la preparazione per essere presidenti della Repubblica e per fare tante altre cose. Il problema è che le donne devono essere “viste”, nel senso che quando si arriva alla fine dell’imbuto le donne non si vedono, scompaiono e invece ci sono».
Finì che nel 2006, invece, Finocchiaro, da capogruppo, resse con le unghie e con i denti la traballante baracca dell’Ulivo al Senato, cosa per cui Prodi, che in quel ramo del Parlamento aveva pochi voti di scarto, le fu grato. Senza la sua tenacia, senza la sua capacità di parlare anche con gli avversari, quel governo sarebbe crollato ancor prima.
Il 2006, quindi, per Finocchiaro fu la prima volta. La seconda arrivò nel 2013. Anche allora si parlò di lei come di una possibile candidata al Colle. A sbarrarle il passo, però, arrivò Matteo Renzi, non ancora segretario del Pd: «Sarebbe bello avere un presidente donna, ma sui giornali leggo nomi improbabili». E così l’allora sindaco di Firenze rovesciò su Finocchiaro uno scandalo di qualche tempo prima, che del resto Renzi aveva già utilizzato quando lanciò la sua campagna per la rottamazione dei dirigenti dem. Ossia alcuni scatti fotografici che ritraevano la senatrice dem all’Ikea, con la scorta che le portava il carrello. In realtà non era vero niente. Chi l’aiutava era un compagno di partito, ma il clamore fu notevole. Lei, per una volta, perse la flemma e replicò con inusitata durezza al fiorentino: «Non mi sono mai candidata a nulla. Trovo che l’attacco di cui mi ha gratificato Renzi sia davvero miserabile, per i toni e per i contenuti. Trovo inaccettabile e ignobile che venga da un esponente del mio partito». Amarezza e stupore. E la convinzione che «un uomo con il mio curriculum sarebbe già al Quirinale».
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