La partita per il Colle
Alessandro Di Matteo, Francesco Olivo
Cosa succederà se Mario Draghi si trasferisse al Quirinale? «Un gran casino». Quella di Carlo Calenda, leader di Azione, oltre che una facile profezia è la premessa per formulare un appello: «Tutti i leader della maggioranza devono andare in processione a chiedere solennemente a Draghi di restare presidente del Consiglio fino al 2023 e possibilmente oltre». L’operazione per far restare Draghi a capo del governo è pienamente in corso e non coinvolge soltanto i politici: «Non possiamo permetterci un’incertezza politica» ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Anche l’allarme per la nuova variante del Covid è un argomento che viene utilizzato per sottolineare l’importanza della continuità dell’azione di governo e, per estensione, della permanenza di Sergio Mattarella al Quirinale. Il primo avviso di giornata, pur con parole di stima, arriva da Silvio Berlusconi, sul quale pende il sospetto di conflitto d’interesse (diverso dal passato), vista l’ambizione quirinalizia del Cavaliere: «Saremo i primi a collaborare lealmente all’attività di questo governo, che deve rimanere in carica per tutto il tempo necessario, fino al 2023, fin quando saremo usciti dall’emergenza – ha detto in una riunione di Forza Italia a Villa Gernetto –. Allora si potrà tornare alla naturale alternanza fra due schieramenti in competizione fra loro». Concetti già esposti in passato, ma che somigliano sempre più a una pressione verso il premier. Luigi Di Maio va oltre: «L’Italia non può permettersi di perdere Mario Draghi – dice alla festa del Foglio a Firenze –. È interesse del Paese che continui a guidare una situazione così difficile. Nel 2022 dovremo affrontare la riforma del patto di stabilità», concludendo con un messaggio (non rivolto a Giuseppe Conte, chiarisce il ministro degli Esteri): «Chi pensa al voto anticipato farà un danno storico al Paese». Anche dai centristi arrivano segnali: «Draghi è, con Mattarella, l’italiano più autorevole che abbiamo oggi – dice Marco Marin, capogruppo di Coraggio Italia –. Sta affrontando l’emergenza economica e sanitaria da vero leader e i risultati sono evidenti». Mara Carfagna lancia una proposta: «Se non dovesse esserci la candidatura di Berlusconi – dice la ministra per il Sud – sarebbe molto bello se davvero si ragionasse su un profilo femminile. Di donne in giro competenti, autorevoli e credibili ne vedo tante». Carfagna, come già Matteo Renzi una settimana fa, teme che il partito del voto sia più largo di quanto appaia in superficie, ognuno avrebbe un interesse, «il Pd per arrivare a gruppi parlamentari più gestibili, Salvini e Meloni per risolvere la loro competizione interna, il M5S per consolidare la nuova leadership». Uno dei diretti interessati, Enrico Letta, sempre dal palco del Foglio, smentisce: «Non vogliamo andare a votare in questo momento di pandemia, vogliamo che il Parlamento possa fare delle cose», anche perché l’ipotesi «Draghi al Quirinale e elezioni anticipate» agita anche gli alleati di Articolo 1 che hanno ufficializzato la partecipazione alle Agorà democratiche. Massimo D’Alema, in un editoriale sul prossimo numero della rivista «Italianieuropei», ha definito «oltre il limite della stravaganza» l’idea di eleggere l’attuale premier al Colle.
Il segretario del Pd non si unisce al coro di quanti chiedono a Draghi di restare dov’è, insistendo che non si debba alimentare il toto-nomi con così tanto anticipo. Ma Letta è anche preoccupato che le manovre per il Quirinale possano destabilizzare il quadro, perché Matteo Salvini ha ribadito che per la Lega è «un sacrificio» stare in questo governo», mentre Matteo Renzi dice esplicitamente che il suo obiettivo è ridisegnare gli schieramenti politici, con la creazione di un polo di centro e mettendo un cuneo tra Pd e M5s. Lo scenario di un capo dello Stato eletto magari senza il consenso dei 5 stelle non piace a Letta e non solo perché un’alleanza con il Movimento di Giuseppe Conte è cruciale in vista delle prossime politiche. Per evitare trappole, ci sarebbe già un’intesa con i 5 stelle per tenere un comportamento comune durante le votazioni per il Colle: Pd e M5s potrebbero uscire dall’aula in caso di candidature non gradite, per evitare il gioco dei franchi tiratori. Ma è da vedere se il patto reggerà di fronte a nomi magari autorevoli ma sgraditi ai grillini.
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