Chi gioca a perdere
Serpeggia tra i leader una voglia di elezioni anticipate che non nasce, per assurdo, dall’ambizione di vincere e di governare, ma dalla più mediocre speranza di cadere in piedi. Nessuno ha la vittoria in tasca, nemmeno il centrodestra che sta avanti di 3-4 punti negli ultimi sondaggi ma dopo le Comunali ha smarrito un po’ delle sue certezze. Però tutti – ecco la novità – potrebbero accontentarsi di una sconfitta e, in qualche caso limite, addirittura desiderarla per motivi che pubblicamente non si possono confessare. Ad esempio, per evitare una batosta ancora più pesante se tornassimo alle urne tra un anno e mezzo; oppure per eleggere in Parlamento i propri amichetti senza farli attendere fino al 2023; o al limite per far fuori i rompiscatole interni. Vediamo situazione per situazione.
Iniziamo da Matteo Salvini. Al Capitano votare subito conviene, comunque vada e perfino nel peggiore dei modi. Se il centrodestra dovesse farcela, lui potrebbe sperare nel contro-sorpasso della Lega sui Fratelli d’Italia che, sulla carta, è ancora plausibile; ma se Palazzo Chigi dovesse sfuggirgli, e la guida del governo toccasse a Giorgia Meloni, lui tornerebbe a fare il ministro, magari di nuovo all’Interno (in fondo non vede l’ora). Perfino nel caso di sconfitta elettorale Salvini avrebbe un grosso vantaggio, anzi due. Frenerebbe il declino del suo partito che, continuando di questo passo, tra un anno verrebbe a trovarsi intorno al 10 per cento dal 18 che vale oggi e dal 34 delle scorse elezioni europee. “Salvare il salvabile” è la nuova parola d’ordine salviniana. Inoltre Matteo farebbe un bel repulisti, regolerebbe i conti con chi dentro il partito ha osato sfidarlo purgando le liste dagli amici di Giancarlo Giorgetti oppure relegandoli in coda cosicché, nel caso di sconfitta, sarebbero i primi a venire trombati.
Anche per Giorgia Meloni votare sarebbe un “win-win”. Nella migliore delle ipotesi diventerebbe la prima donna premier nella storia d’Italia; o in alternativa la prima a guidare l’opposizione che, in fondo, sembra più consono alla sua vera natura, alla sua indole protestataria. Ma perfino se restasse dietro a Salvini, Giorgia triplicherebbe i voti a confronto del 2018, idem la rappresentanza parlamentare. Sarebbe comunque un trionfo. A una sconfitta del genere chiunque metterebbe la firma. Scontato che la “ducetta” non veda l’ora.
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