Donne per il Quirinale

Annalisa Cuzzocrea

Sono almeno 12 le candidabili che restano ai margini a causa di una narrativa solo maschile. I nomi in campo, da Bonino a Rosy Bindi. E c’è l’ipotesi di una staffetta Belloni-Draghi

Come si trattasse di una semplice quota. Come fosse un panda in via di estinzione, o un animale strano, ogni tanto – nei totonomi per il Quirinale – appare la possibilità nuova, inusitata, fantascientifica: «Una donna». Non un nome e un cognome, come per tutti gli uomini chiamati in causa, da Mario Draghi a Paolo Gentiloni, da Pier Ferdinando Casini a Giuliano Amato. Ma una casellina grigia senza volto e un immaginario punto interrogativo sopra. Appunto, una donna. «Ma chi?», sembrano chiedere sperduti commentatori come se l’ipotesi fosse così assurda da appartenere al campo dell’irrealtà. In questo, se possibile, siamo tornati indietro. Nel 1999 un sondaggio Swg aveva fatto agli italiani una domanda secca: chi vorreste come presidente della Repubblica? Il 31 per cento degli intervistati aveva risposto: Emma Bonino. Poco tempo dopo, sondaggio Abacus, la leader radicale aveva il 47% dei consensi contro il 43 di Carlo Azeglio Ciampi. Sappiamo come andò. Fu una fiammata, e oggi non potrebbe succedere. Non perché le donne non ci siano, anche se in politica hanno incontrato – negli ultimi venti anni – molti più ostacoli del previsto. Ma semplicemente perché si è costruita una narrazione ostile per cui un essere umano di sesso femminile adatto alla presidenza della Repubblica o alla guida di Palazzo Chigi, semplicemente, non esiste.

Un caso di miopia collettiva, così lo definisce Emma Bonino. Che più che da candidata sembra oggi parlare da madre di tutte le candidate possibili: «Penso che le dobbiamo proteggere e non bruciare. Non è colpa mia se voi guardate e non vedete. Se ogni volta si passa dai bla bla bla dei convegni del week-end all’invisibilità del vivere quotidiano. Perché se perfino il Financial Time ha trovato una direttrice donna, se lo ha fatto la Reuters, ed è anche un’italiana, pensate possa non essercene una per il Quirinale? Voi sentite e non ascoltate, è così vero ».

La severità della senatrice radicale è, come sempre, rivolta a tutti. Non solo al Parlamento, che in realtà in queste ore su nomi di donne si sta agitando parecchio. Anche se per tenerle, come sempre, come ultima spiaggia. In caso Mario Draghi voglia, ma non ce la faccia. In caso gli altri papabili siano fermati dai veti incrociati. Insomma, in caso ci sia da rimediare a uno stallo. O a un disastro. Sia come sia, i nomi ci sono e se ne possono mettere in fila tanti. Liliana Segre ha declinato. Lo ha fatto nel modo più saggio possibile e cioè invitando a scegliere una persona che abbia lavorato nelle istituzioni, piuttosto che un simbolo: «Non ho la competenza e non l’avrei avuta nemmeno trent’anni fa», ha detto, limpida. Guardiamo oltre allora.

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