Vaticano, i video della deposizione di monsignor Perlasca: «Quel finanziere ci ha stregati»
I filmati esclusivi
Il Corriere
ha visto i filmati e una sintesi è da oggi disponibile su Corriere.it. Nei file c’è il disarmante racconto di come venivano gestiti gli affari in Segreteria di Stato: ingenuità, incapacità, ignoranza tecnica e forse (lo dirà il processo) malversazioni, tangenti, soldi rubati. Ma c’è anche altro. Per esempio la storia delle 12
mila medaglie d’oro, d’argento e di bronzo trasferite dai sotterranei
dell’Apsa in armadi incustoditi della Segreteria di Stato.
«Tutti sapevano dov’erano le chiavi».
Ma ci sono anche passaggi estremamente delicati: il riferimento a Papa Francesco che secondo Perlasca, sul punto rintuzzato dal magistrato che confuta la sua ricostruzione, avrebbe dato via libera alla trattativa con Gianluigi Torzi,
il broker accusato dagli inquirenti vaticani, tra l’altro, di
estorsione. È andata davvero così? Torniamo dunque a poche decine di
metri da San Pietro, nella stanza della Gendarmeria con le armi in
vetrina che un po’ inquietano.
Gli affari con Raffaele Mincione
È
il 29 aprile 2020. Per sette ore Perlasca, assistito da un legale,
viene torchiato dagli inquirenti. Il suo racconto parte da lontano.
Il Vaticano nel 2013-2014 entra in affari con un finanziere spregiudicato, Raffaele Mincione.
Becciu e Perlasca gli
affidano 200 milioni di dollari, metà dei quali usati per investire in
un palazzo nel centro di Londra, al 60 di Sloane Avenue.
I magistrati sospettano un giro di tangenti: «Nella maniera più
assoluta!», si difende Perlasca. «Mincione ci ha stregati, è un
incantatore…».
La trattativa con il broker Gianluigi Torzi
L’affare del palazzo va male, la Santa Sede vuole rompere con Mincione. Siamo a novembre-dicembre 2018.
A chi si affida? Allo sconosciuto broker Gianluigi Torzi che con un contratto capestro — secondo l’accusa —, firmato da Perlasca, si impossessa di fatto dell’immobile.
Il monsignore, ritenuto responsabile del pasticcio, viene allontanato da Edgar Pena Parra, succeduto a Becciu. E con Torzi parte una trattativa che porterà a liquidare il broker con 15 milioni.
«Io ero per la denuncia», si difende Perlasca. E poi alza il braccio con l’indice puntato all’insù: «L’indicazione dall’alto era di trattare». Il riferimento è al Papa.
Gli inquirenti insorgono, fanno scudo: «Non
può dire queste cose, siamo andati dal Santo Padre e gli abbiamo
chiesto che cosa è accaduto e di tutti posso dubitare fuorché del Santo
Padre! Il Santo Padre è stato tirato in mezzo!».
Sono minuti drammatici, il magistrato alza la voce, Perlasca abbozza: «Io ero per denunciare, la mia posizione era più intransigente». Anche più del Papa, sembra intendere.
Senza avvocato
Passano quattro mesi. A fine agosto Perlasca ricompare davanti agli inquirenti. Sceglie di deporre senza avvocato. È l’inizio della collaborazione. Racconta ogni dettaglio e respinge i dubbi sulla sua onestà: «I regali di Crasso? Eccoli, li ho portati». E dallo zaino tira fuori una penna Parker, un Ipad ,«una borsa per pc che il computer neanche ci entra», uno swatch «pronto a essere riciclato come regalo». E due biglietti per l’Arena di Verona. Come a dire: corrotto con così poco?
Il cardinale Becciu e i bonifici a Cecilia Marogna
E Becciu? Il potente cardinale, ex dominus della Segreteria, è l’imputato eccellente. Il Papa l’ha defenestrato a settembre 2020. Perlasca racconta dei soldi dati alla sedicente agente segreta Cecilia Marogna. «Io non sapevo neppure che fosse una donna, l’ho saputo qui. Per me quella persona era un numero di conto!». Il cardinale — racconta Perlasca — era molto prudente nelle comunicazioni. «Un giorno mi disse: scarica Signal». È una chat criptata, anti-intercettazioni.
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