Regeni, gli ultimi misteri: un anno fa la missione segreta di Minniti al Cairo
Nell’autunno 2020, insomma, Giuseppe Conte volle provare nuovamente la carta Minniti. I rapporti con l’Egitto erano sempre sul filo. Nell’estate, però, il governo aveva deciso di vendere due fregate Fremm ad al-Sisi. Furono necessari due passaggi in consiglio dei ministri, il 10 giugno e il 7 agosto, per perfezionare la vendita e soprattutto per avere la massima condivisione di responsabilità tra le forze politiche su questa scelta. Nessuno potrà mai dire se la vendita fosse un semplice business da 1 miliardo di euro o dovesse servire a ingraziarsi il regime. Di certo, Conte ha riconosciuto che a quel punto «una mancata vendita sarebbe stata considerata dal Cairo un atto ostile». Quello stesso Conte che ieri commentava: «Il lavoro della Commissione rende ancora più urgente e ineludibile il processo nei confronti degli ufficiali degli apparati di sicurezza egiziani, in modo da rischiarare con definitiva luce giudiziale una pagina oscura della nostra storia più recente».
Minniti si precipitò in Egitto. E un risultato è agli atti: il 5 novembre, ci fu un primo contatto dopo quasi un anno di silenzio; il 30 novembre, le due procure si parlarono nuovamente in videoconferenza. Il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco illustrarono lo stato delle investigazioni e chiesero un aiuto ai magistrati del Cairo, sia pure indiretto, per convincere gli indagati a formalizzare il domicilio e cioé, in sostanza, a sottoporsi al processo in Italia.
Al termine, fu emesso un comunicato congiunto che parve da subito contraddittorio. Le due parti presentavano idee antitetiche: gli italiani annunciavano il processo per gli agenti; gli egiziani insistevano per la pista dei rapinatori comuni. Ma poi si concludeva: «Il procuratore generale del Cairo prende atto e rispetta le autonome decisioni della magistratura italiana».
Chi sapeva della missione occulta di Minniti pensò che quella frase anodina fosse il preludio a uno sbocco positivo. A palazzo Chigi ci si congratulò per aver scelto la persona giusta. Ma le cose andarono diversamente. A metà dicembre, come annunciato, la procura depositò l’avviso di fine indagini con la ricostruzione dei fatti e le imputazioni. Il 30 dicembre, con un documento unilaterale durissimo e quasi offensivo, la procura generale del Cairo attaccava frontalmente il lavoro di Roma, lo demoliva, ipotizzava dietro l’omicidio di Giulio Regeni fantasiosi complotti ad opera di potenze terze per incrinare gli ottimi rapporti italo-egiziani.
Ogni possibile collaborazione tra le due sponde del Mediterraneo finiva lì. Il processo imboccava un binario morto da dove solo un miracolo potrà farlo ripartire. E la missione Minniti non emerse dal cono d’ombra.
LA STAMPA
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