Se adesso Merkel invidia l’Italia

Francesca Sforza

È difficile sentire Angela Merkel che a proposito della situazione del Covid in Germania dice “Mi sentirei più al sicuro se fossimo in Italia” senza provare, almeno un po’, quel genere di emozioni che per molti si sintetizza nell’indimenticato urlo di Tardelli, il giorno della finale dei mondiali del 1982. E però detto dalla Cancelliera tedesca, nella sua ultima conferenza stampa Stato-Regioni, in occasione della presentazione di una delle più rilevanti decisioni per il Paese, ovvero un lockdown di fatto per i non vaccinati, il fatto assume una coloritura politica che è allo stesso tempo un riconoscimento e un cambio di passo nei confronti del nostro Paese.

Un riconoscimento che non prescinde, senza dubbio, dall’effetto-Draghi, ma che a ben vedere abbraccia anche il periodo precedente, quello che ha visto un Paese – il nostro – colpito come pochi altri dalla pandemia e tuttavia capace di compattarsi in una inedita forma di unità nazionale, che si è tradotta, col tempo, in una percentuale di vaccinati tra le più consistenti d’Europa. In questo tempo è caduto un governo e ne è arrivato un altro, ma lo scossone probabilmente ha imposto all’opinione pubblica un salto di maturità – passato anche attraverso scontri e conflitti – che altri non hanno attraversato, ritenendosi forse immuni, quando immuni invece non erano. L’Italia casinista, sfasciona, inaffidabile, che cambia leader in corsa e si divide su tutto, fiera di virologi e di intellettuali, alla fine si scopre, nell’emergenza, capace di far prevalere il raziocinio e isolare l’irrazionalità.

“Se avessimo un’incidenza media di contagi da 130 come in Italia, o di 150, mi sentirei meglio”, ha detto Merkel. E con una sola frase, con la forza dei numeri, ha spazzato via tutto l’armamentario dello stereotipo anti-italiano – dalle copertine di Spiegel con il revolver sugli spaghetti al bunga bunga di Berlusconi – colpendo i tedeschi nel loro immaginario più radicato, per far capire loro che qualcosa è cambiato, e che il cambiamento va tradotto in azione. Facile ipotizzare che per i tedeschi il paragone sia stato se non mortificante quantomeno un po’ avvilente; lecito, del resto, pensare che proprio questo fosse l’intento della Cancelliera, consapevole che poche cose sono più efficaci del far leva su quel senso protestante della colpa e della responsabilità che rende, noi e i tedeschi, così diversi e cosi attratti l’uno dall’altro.

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