Una via nazionale al Mattarella bis

di Stefano Folli

Un episodio minore, salvo che per i diretti interessati, è accaduto ieri al Senato, a conferma del clima non proprio sereno che si respira nei ranghi della maggioranza. Il gioco dei franchi tiratori ha impedito che il presidente della Lazio, Lotito, ottenesse giustizia circa il seggio a cui aspira da tempo. Il perdente sarebbe stato un senatore renziano di Italia Viva. Tuttavia nel voto segreto le decisioni prese dalla Giunta che si occupa dei ricorsi sono state smentite e la vicenda è tornata in alto mare. Ora, al di là delle ragioni e dei torti, resta il fatto che il rapporto tra Pd e Italia Viva, alleati nella maggioranza che sostiene Draghi, sono logorati al punto da non reggere nemmeno su una questione così circoscritta. La domanda è inevitabile: cosa accadrà nella seconda metà di gennaio, quando si voterà per il presidente della Repubblica?


Mai come stavolta si prevede che l’esercito dei franchi tiratori sarà numeroso e agguerrito. I segnali non mancano e hanno a che fare con la mancanza dell’antica disciplina nei partiti sbandati. Vero è che i parlamentari non nutrono, come è noto, alcun desiderio di essere rimandati a casa anzitempo per via di uno scioglimento anticipato. Così come è vero – qui ha ragione Enrico Letta – che la legislatura difficilmente potrebbe sopravvivere allo sfarinarsi della larga maggioranza che sostiene Draghi. Ma ci sono momenti nella storia delle istituzioni in cui la razionalità si dissolve e prevalgono altre pulsioni. Abbiamo detto dei rancori che dividono i renziani e il Pd. Peraltro nessuno sa con esattezza cosa si agita nelle pieghe profonde dei Cinque Stelle: forse solo un convinto ottimista può credere che il movimento “grillino” resterà compatto negli scrutini decisivi.


Ne deriva che tessere il filo di un grande accordo modello Ciampi, tale da eleggere il presidente al primo voto, sembra per ora un esercizio lodevole, ma vano. Di sicuro Berlusconi non rinuncerà a giocare una parte di primo piano su quello che potrebbe essere l’ultimo palcoscenico importante della sua vita politica. Tenere legato il centrodestra alla propria candidatura non lo porterà al Quirinale – lo sa anche lui in cuor suo – ma gli servirà per essere l’interlocutore del centrosinistra per qualsiasi soluzione realistica. Occorrerà passare da lui, più che da Salvini o magari Giorgia Meloni. E se si parla di un’idea utile a raccogliere un consenso ampio, c’è una carta che potrebbe – anzi, dovrebbe – essere presa in considerazione al momento opportuno. Non un rinnovo puro e semplice del mandato di Mattarella, a cui il presidente è contrario, bensì un’intesa sulla proposta di revisione costituzionale che abolisce il semestre bianco e al tempo stesso vieta la rielezione del presidente in carica. Se ci fosse un accordo di massima sul disegno di legge che è già in Senato, Mattarella potrebbe essere votato per restare in carica fino al termine dell’iter, coincidente più o meno con la scadenza della legislatura nel ’23. La modifica della Costituzione su quel punto specifico giustificherebbe le dimissioni.

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