Le istituzioni e il gioco al massacro
Marcello Sorgi
«Stupore» è un eufemismo. Il Presidente è profondamente irritato, cosa impensabile per un uomo come Mattarella. E la ragione è l’interpretazione del disegno di legge dei parlamentari Pd a lui vicini Zanda, Bressa e Parrini, volto a inserire nella Costituzione il divieto di rielezione del Capo dello Stato e a cancellare il semestre bianco. Testo presentato in Senato con l’obiettivo di convincere Mattarella ad accettare un secondo mandato a termine, fino appunto all’approvazione della riforma. Proprio perché si poteva credere (Zanda lo aveva lasciato intuire in un’intervista) che l’iniziativa dei tre fosse in qualche modo concordata con il Colle, Mattarella ci ha tenuto a ripetere per l’ultima volta di non essere interessato al bis. E che il 3 febbraio, alla scadenza del settennato, lascerà il Quirinale.
Senza alcun possibile ripensamento, dato che nel corso dell’ultimo anno ha manifestato varie volte questa sua volontà.
La nota della Presidenza della Repubblica è piovuta pesantissima sul Parlamento semideserto del venerdì. E anche se formalmente contiene un apprezzamento per la proposta di riforma della Costituzione, che va in direzione delle sue recenti sollecitazioni in materia, ha sollevato il velo sui rapporti ormai difficili del Presidente con i partiti, e in particolare con il suo. Non è un mistero infatti che Mattarella abbia seguito con preoccupazione (altro che “stupore”) l’andamento della trattativa sull’elezione del suo successore, condotta a colpi di interviste sui giornali e interventi nei talk-show televisivi. Ai quali anche Letta, che in un primo momento si era rifiutato di prender parte a questo Carosello, si era via via rassegnato. In particolare, nell’ultima settimana, uno dopo l’altro Berlusconi, Salvini, Conte e lo stesso Letta avevano affermato di preferire Draghi ancora alla guida del governo fino al 2023, piuttosto che sul Colle, per il quale tuttavia rappresenta la candidatura più forte, pur senza suggerire ipotesi alternative.
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