I veri rating del nostro scontento

MASSIMO GIANNINI

C’è stato un tempo in cui l’Italia aspettava il verdetto delle agenzie di rating come il Giorno del Giudizio. La pioggia che anticipa il diluvio universale sui Bot e i Btp. La sentenza inappellabile, e quasi sempre definitiva, che inchioda il Paese alla solita dittatura dello spread. Oggi non è più così. Fitch promuove i nostri titoli del debito sovrano, riportandoli nella comfort-zone della tripla B e allontanandoli dall’abisso dei bond-spazzatura. La tripla A che premia da sempre la Germania resta un miraggio, ma ci possiamo accontentare. Per almeno due buoni motivi. Il primo: la maggiore affidabilità delle nostre emissioni viene certificata nonostante un debito pubblico esploso al 160 per cento del Pil, per effetto dei sostegni straordinari all’economia devastata dal virus. Il secondo: l’ultima promozione da questa agenzia di rating l’avevamo incassata nel lontanissimo 2002 con il secondo governo Berlusconi, che allora non commise i misfatti del terzo, quello che nel 2011 portò lo spread a 600 punti e il Belpaese a un passo dal default (giusto un sommesso memorandum, per tutti coloro che oggi si chiedono con indignato stupore perché mai il Cavaliere – anche a voler tacere della sentenza di condanna per frode fiscale e delle leggi ad personam, delle cene eleganti e delle nipoti di Mubarak – non possa candidarsi credibilmente alla presidenza della Repubblica, spacciandosi garante di una Costituzione che ha più volte cercato di deformare).

Vent’anni dopo, anche i severi censori di Fitch sembrano credere nell’Italia e nelle sue annunciate riforme. Come già avevano fatto nelle scorse settimane Standard & Poor’s e Moody’s, si fidano nel medio periodo delle condizioni di stabilità finanziaria e patrimoniale del Paese.

E ritengono possibile la crescita economica che anche l’Istat ha fissato per quest’anno: il 6,2-6,3 per cento, probabilmente la più alta in Europa. A mantenerla così elevata, secondo gli economisti dell’agenzia, saranno “gli elevati tassi di vaccinazione, i risparmi del settore privato e l’uso dei fondi europei”. Qui c’è un sottotesto: l’Italia sta beneficiando di un “Momento Draghi”, che la rende credibile agli occhi dei mercati. Ma è un “momento”, per l’appunto. Una finestra di opportunità, che può chiudersi in fretta. Non a caso Fitch indica il prossimo Rubicone che dobbiamo valicare: nel febbraio 2022 il Parlamento eleggerà il nuovo Capo dello Stato, ed essendo Draghi un “potenziale candidato”, quel voto “potrebbe avere un effetto diretto sul futuro del governo”. E qui c’è un altro sottotesto: senza Draghi, il giudizio sul governo e il destino del Paese possono cambiare totalmente. Come dargli torto? Possiamo pure brindare alla promozione di Fitch o ai complimenti della Merkel. Ma dobbiamo sapere che, nonostante gli sforzi sostenuti in questa drammatica emergenza, non siamo al sicuro. Dobbiamo essere consapevoli che non abbiamo ancora fatto nulla per trasformare le strutture portanti del nostro sistema.

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