Berlusconi, Salvini e Meloni: è l’ora del centrodestra. Basta divisioni altrimenti viene giù tutto

Franco Bechis

Se ne parla poco, ma il 18 dicembre prossimo si terranno quelle che un tempo erano le elezioni provinciali. A votare saranno i sindaci e i consigli comunali che devono scegliere da chi essere rappresentati nelle province o nelle città metropolitane, che pure un qualche peso hanno nella vita di quei territori.

Ovviamente essendo esclusi i cittadini dal diritto di voto, la campagna elettorale non si svolge in pubblico e ha ben pochi riflettori accesi ad illuminarla. Così i partiti politici alla chetichella fanno un po’ quello che vogliono, e hanno tessuto alleanze e presentato liste assai distanti da quelle che a suo tempo erano state presentate agli elettori.

Fra i principali protagonisti, non me felicito particolarmente, ci sono proprio i partiti di centrodestra, che ancora una volta si segnalano per essere capaci di tutto, fuorché stare uniti. In molta parte di Italia si presentano gli uni contro gli altri spinti da camarille e scaramucce locali, e anche nel Lazio abbiamo la poco commendevole situazione: a Viterbo e Latina ad esempio Forza Italia ha avuto la bella pensata di fare comunella con il Pd, facendo infuriare gli alleati.

Piccole cose, certo. Ma attenzione, perché quelle scaramucce locali poi hanno il loro peso anche sulla politica nazionale, perché in Parlamento ci sono poi sempre i deputati e i senatori di quelle aree che saranno arrabbiati come i leader locali e penseranno alla loro bella vendetta al momento giusto.

Non che brillino per particolare unità nemmeno a livello nazionale, ed è plasticamente evidente nel fatto che due grandi azionisti di coalizione su tre siano nella maggioranza di governo e uno invece all’opposizione. Ognuno ha fatto le sue scelte mesi fa, e non ci torniamo su.

Ma certo non sarebbe stato impossibile varare un minimo di punti economici comuni da fare passare in legge di bilancio facendoli intestare al centrodestra intero, quello di lotta come quello di governo. E’ stato un peccato non averlo fatto e continuare invece a farsi dispettucci a livello locale. Perché questo clima certo non entusiasmante e che come si vede da elezioni vere e sondaggi entusiasma poco pure gli elettori, rischia di riversarsi fra poche settimane in quell’appuntamento che è davvero una occasione storica per il centrodestra: quello dell’elezione del successore di Sergio Mattarella.

Da quando è nato nella seconda Repubblica il centrodestra non ha mai toccato palla nella elezione del presidente della Repubblica, se si eccettua quell’assenso di non grande respiro dato all’elezione bis di Giorgio Napolitano.

Oggi non ha la maggioranza assoluta per scegliere, ma essendo lo schieramento che ha più numeri per farlo è in grado di bloccare l’ennesima riproposizione di un Capo dello Stato nato e cresciuto nel brodo della sinistra italiana. Magari brave persone dotate anche di un equilibrio istituzionale come ha mostrato di essere Sergio Mattarella, ma comunque sempre con quelle radici e quella storia alle spalle, come ci fosse una conventio ad escludendum di quella parte del paese che molte volte ha mostrato di essere anche la maggioranza reale degli italiani. Non ci si può presentare a quell’appuntamento divisi, o magari sulla carta uniti, però pronti a sfruttare le magie del voto segreto per tirarsi qualche sganassone che si voleva dare da tempo.

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