La politica e l’idea di patria

Se c’è nel vocabolario politico un termine inclusivo è il termine «patria». Una dimensione, quella della patria, che, ha scritto Piero Calamandrei, indica, qualcosa di «comune e di solidale che è più dentro» in ciascuno di noi. Cioè qualcosa che va al di là delle opinioni politiche, per più versi qualcosa di prepolitico, in forza del quale sentiamo di avere un legame, un patrimonio condiviso (a cominciare da quello fondamentale della lingua) anche con chi nutre idee politiche diverse, pure assai diverse, dalle nostre. Proprio per questo solamente la nazione democratica può essere in realtà una vera patria. Perché solo in un regime democratico è garantita a tutti la massima latitudine delle opinioni, la più ampia libertà di pensiero, e quindi il vincolo patriottico può avere la massima estensione, includere virtualmente ognuno. Laddove viceversa è la dittatura di una fazione che, anche se si ammanta di valori nazionali, se proclama di rappresentare gli interessi massimi del Paese, in realtà, mettendo al bando coloro che non ne condividono i principi, non solo rende il patriottismo impossibile, ma produce un effetto ancora più devastante: di fatto mette all’ordine del giorno la guerra civile

Giorgia Meloni ha deciso da tempo di mollare gli ormeggi che in qualche modo continuavano a tenere legato Fratelli d’Italia al passato della vecchia Alleanza Nazionale e di cercare una nuova rotta in grado di condurre il suo partito al centro di nuovi equilibri politici. Cercando quindi anche nuove parole capaci di sottolineare questo nuovo corso: penso ad esempio al termine «conservatore» con cui ha preso ad autodefinirsi. A mio giudizio ha fatto e sta facendo bene. Ma le parole sono pietre. Vanno usate con cautela: se le si adopera con eccessiva disinvoltura, pur senza alcuna cattiva intenzione, possono far male. Agli altri ma soprattutto a noi stessi.

CORRIERE.IT

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