Rovelli: «Una proposta semplice e concreta: tagliare la spesa militare per creare un fondo globale per l’umanità»

Dal punto di vista di ciascun Paese, la sicurezza non solo non diminuisce, ma infatti aumenta, perché i Paesi percepiti come avversari riducono la loro capacità militare. Deterrenza e equilibrio sono mantenuti. Un simile accordo contribuirebbe a ridurre l’animosità, diminuendo ulteriormente il rischio di guerra. La storia mostra che accordi per limitare gli armamenti sono realizzabili. Ad esempio, i trattati Salt e Start fra Stati Uniti e Unione Sovietica hanno ridotto il numero delle testate atomiche ben del 90%. Simili negoziati possono avere successo perché sono razionali: ogni attore beneficia della riduzione degli armamenti dei suoi avversari. E così fa l’umanità nel suo insieme. La collaborazione paga.

Data l’enorme mole delle spese militari globali, le risorse liberate da una pur piccola riduzione del 2% libera risorse molto vaste. Queste rappresentano un «dividendo di pace» che raggiungerebbe 1.000 miliardi di dollari entro il 2030. Si tratta di una cifra molto superiore a quella totale che i Paesi destinano attualmente a tutti i programmi di cooperazione, comprese le Nazione Unite e le sue agenzie.

La proposta dei 50 Nobel è che metà delle risorse liberate da questo accordo siano destinate a un fondo globale, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, da utilizzare per affrontare i problemi comuni urgenti del pianeta: pandemie, cambiamenti climatici, povertà estrema. Un «Fondo Globale» di questo tipo, più piccolo, esiste già, e funziona egregiamente nella lotta contro le malattie.

L’altra metà delle ingenti risorse liberate dall’accordo resterebbe a disposizione dei singoli governi. Tutti i Paesi disporrebbero quindi di nuove risorse. Una parte di queste può essere utilizzata per convertire verso applicazioni pacifiche le capacità di ricerca e produttive delle industrie militari. La ricerca scientifica militare ha prodotto ricadute importanti per la vita pacifica: questa stessa ricerca sarebbe ovviamente ancora più efficace se riorientata direttamente verso applicazioni pacifiche.

Evidentemente esistono complicazioni tecniche, politiche e ideologiche che si frappongono come ostacoli a un accordo di questo genere. Ma gli ostacoli si possono superare, quando il vantaggio comune è così grande. I firmatari della proposta sono seriamente preoccupati per la crescente bellicosità nel pianeta, per la crescente demonizzazione reciproca degli antagonisti, e ritengono che sia essenziale rimettere al centro dibattito politico l’urgenza dei problemi comuni dell’umanità, e sopratutto la razionalità, oltre alla moralità, di lavorare per la pace e la collaborazione.

Il pianeta è piccolo, l’umanità è fragile, e va incontro a rischi seri. Possiamo affrontarli solo lavorando insieme, nonostante le nostre differenze. Tutto ciò che è stato realizzato nei secoli dall’umanità, è stato ottenuto grazie alla collaborazione.

Le città italiane sono circondate da mura perché per secoli si sono fatte la guerra. Da quando non sono più in armi una contro l’altra, la vita nel Paese è migliore. È il momento per l’umanità di cercare di fare lo stesso nel pianeta. La crescita recente della globalizzazione può avere costi, e creare problemi, ma apre anche un’opportunità straordinaria: la collaborazione globale. È tempo che il dibattito pubblico si sposti dal tema della competizione di noi contro gli altri, al tema degli immensi vantaggi che possono venire solo dalla collaborazione. Ci auguriamo che la politica sappia ascoltare, e prendere iniziative che ci portino in questa direzione.

CORRIERE.IT

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