Perché due dosi ora non bastano
Antonella Viola
Se c’è qualcosa che abbiamo imparato tutti durante questa pandemia è che fare previsioni è azzardato perché il margine di incertezza, di fronte a così tante variabili in gioco, è grande. Ci aspettavamo che, una volta vaccinato l’80% della popolazione, la situazione sarebbe stata sotto controllo e che avremmo parlato sempre meno di Covid19. E invece le cose non stanno andando esattamente così. A sparigliare le carte sono arrivati due fatti: la perdita di efficacia dei vaccini e, adesso, la nuova variante Omicron. I vaccini si basano sulla produzione di anticorpi neutralizzanti che sono in grado di legare il virus e bloccarlo, impedendogli l’accesso nelle nostre cellule, e sulla stimolazione dell’immunità cellulare, cioè sulla generazione di linfociti della memoria. Gli anticorpi indotti dalla vaccinazione di solito calano nel tempo, anche se la velocità con cui diminuiscono è molto variabile tra i vari vaccini. Già da diversi mesi avevamo capito che gli anticorpi contro il Sars-CoV-2 sarebbero diminuiti piuttosto velocemente, nel giro di mesi più che di anni, ma si sperava che la memoria immunologica generata fosse sufficiente a evitare la malattia e forse anche a limitare il diffondersi del contagio. Tuttavia, i dati che sono stati raccolti nell’ultimo periodo nel mondo, prima di tutto in Israele, ci hanno fatto capire che le due dosi di vaccino anti-Covid19 non sono sufficienti a garantire una protezione che duri nel tempo a tutti i vaccinati e che un richiamo è necessario per riportare l’efficacia dei vaccini a livelli alti. I richiami, che francamente speravamo non fossero così urgenti, sono quindi diventati una necessità, per cercare di frenare la circolazione del virus ed evitare il collasso degli ospedali. Se questo non bastasse, la comparsa della variante Omicron, che presenta una serie di mutazioni sulla proteina Spike che la rendono meno riconoscibile da parte degli anticorpi generati dai vaccini o da una precedente infezione, complica ulteriormente il quadro generale. I primi esperimenti ci mostrano che per neutralizzare Omicron serve un titolo anticorpale alto, e questo ci deve spingere a procedere ancora più in fretta con i richiami. Non sappiamo ancora quanto temibile sia questa variante, ma intanto le aziende farmaceutiche si stanno muovendo verso un aggiornamento dei vaccini. Ed è quindi possibile che, tra virus che muta e immunità che cala, i richiami continueranno nel tempo, diventando forse annuali, come accade per l’influenza. Non lo sappiamo, e bisogna quindi trovare la forza di gestire l’incertezza.
Nonostante il quadro complicato, non dobbiamo però cedere alla negatività e al pessimismo. Osservando la situazione attuale e confrontandola con quella dello scorso anno, vediamo come i vaccini abbiano fatto la differenza in termini di ricoveri e decessi. E questo si riflette in una vita quasi normale per tutti noi, senza troppe limitazioni. Intanto la scienza andrà avanti, migliorando i vaccini, studiando la risposta immunitaria che serve a proteggerci, cercando nuovi farmaci. Gli antivirali di Merck e Pfizer, che bloccano la riproduzione del virus e sono quindi utili nelle prime fasi dell’infezione, possono essere un valido aiuto nella gestione dei pazienti a rischio di malattia severa, purché il contagio venga prontamente confermato, ragione per cui sarà sempre più importante poter accedere ai tamponi in tempi rapidissimi e dedicarli quindi a chi ha sintomi e non a chi rifiuta il vaccino.
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