Fine vita, Parlamento ingolfato e irresponsabile
Non è una novità che i decreti ingolfino le Camere e che l’abuso dei voti di fiducia ne abbia svilito il ruolo emendativo, di riflessione, di proposta. Adesso, però, forse è troppo. Perché in un Parlamento che sostiene nella sua quasi totalità un governo di unità nazionale, deputati e senatori sembrano capaci di trovare un’intesa solo quando a renderla necessaria è l’esistenza stessa di quel governo. In tutti gli altri casi, si tentenna, si va avanti a piccolissimi passi quando non si torna indietro. Nel caso del disegno di legge Zan, si è fatto di tutto per raggiungere proprio questo risultato: il rinvio della legge contro l’omotransfobia in commissione, al Senato, quindi il suo affossamento per la seconda legislatura di seguito. Nel caso del Fine vita, prima di gennaio non si saprà quando il testo potrà tornare in aula. E prima di febbraio, non se ne parlerà. Perché nessuno incardinerebbe una legge così divisiva alla vigilia delle votazioni per il nuovo presidente della Repubblica, supposto che uno spazio prima si possa trovare.
Ma se il problema fossero solo i tempi, si potrebbe anche tirare un sospiro e provare a capire. Il punto è che nonostante un lavoro di mediazione profondo e accurato fatto dai relatori, a partire dal cattolico del Pd Alfredo Bazoli, che ha ristretto il campo di applicazione delle norme sul fine vita, nella posizione del centrodestra nulla è cambiato. E se anche ci sono persone, soprattutto dentro Forza Italia, che a titolo personale sono pronte a dire sì, non sarà semplice fare in modo che la discussione superi prima lo scoglio della Camera e poi, soprattutto, quello del Senato. Anche perché, fuori, c’è la parte più conservatrice della Chiesa che si prepara alla mobilitazione e ha avvertito per tempo i parlamentari di riferimento. Ci saranno voti segreti, defezioni nel Pd, si spaccherà Italia Viva (già ieri, Lucia Annibali e Lisa Noja, favorevoli, hanno fatto un intervento opposto a quello di Gabriele Toccafondi, contrario). Nel nome della sacrosanta libertà di coscienza, rischia di consumarsi un’altra sconfitta del potere legislativo. Che è come raggelato dall’esperienza del governo Draghi. Nelle lungaggini dei lavori in commissione, nelle chiacchiere sui divanetti di pelle su stato d’emergenza e presidenza della Repubblica, nei conciliaboli sulle mosse da fare in vista del voto che potrebbe cambiare tutto il corso della legislatura, i parlamentari appaiono come rassegnati a un’irrilevanza che è diventata l’abitudine.
Il presidente della Camera Roberto Fico ha parlato pochi giorni fa di un ritardo colpevole sul Fine vita, senza che nessuno – per questo – si sia sentito chiamato in causa. Un altro referendum, quello sulla legalizzazione della cannabis, ha raggiunto in poche settimane 630mila firme, ma la legge che potrebbe anticiparlo è ferma in commissione Giustizia. Non si tratta di essere d’accordo: un Parlamento ha tutto il diritto di dividersi, contrapporsi, far prevalere i no. Quel che appare insopportabile, sono una Camera e un Senato fermi in attesa che il Governo dica cosa fare. Abdicando alla principale delle loro funzioni in cambio, forse, di una sopravvivenza effimera. Se il potere legislativo è fermo, si farà presto a considerarlo inutile. O colpevole, come sul Fine vita, di un’irresponsabile indifferenza
LA STAMPA
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