Covid, da Alfa a Omicron: effetto dei vaccini, contagiosità e sintomi delle varianti. Gli allarmi sono giustificati?
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
Ogni volta che viene identificata una nuova variante del Covid-19, e l’ennesima è l’Omicron, monta l’allerta delle autorità sanitarie. Ma cosa c’è dietro i ripetuti allarmi? Sono sempre giustificati? E perché – come stiamo vedendo in questi mesi – viene via via alzata l’asticella della percentuale di popolazione da vaccinare? Di certo, la formazione di varianti virali è un evento naturale proprio di tutti i virus, in particolare quelli con genoma a RnA come il Covid: le mutazioni genetiche sono alterazioni casuali nel genoma che avvengono in occasione della replicazione del virus all’interno delle cellule infette. Ma quando un virus crea copie di sé stesso cambiando con delle mutazioni si pongono tre tipi di problemi. Uno: la possibilità che sia più contagioso. Due: il rischio di una maggiore aggressività della malattia. Tre: l’eventuale capacità di reinfettare persone precedentemente immunizzate.
Il primo mattone che cambia
L’origine porta la data del 5 gennaio 2020. È allora che i cinesi sequenziano l’intero genoma di un nuovo Coronavirus, che viene chiamato D614. Ma la diffusione è già in corso da qualche mese e il virus comincia a generare figli. Il 20 gennaio il primo mattone che cambia nella sequenza è questo: la D viene sostituita dalla G. Una modifica che gli dà maggiore contagiosità. Tutte le varianti sono figlie sue.
Cosa succede in Italia
Il 20 febbraio in provincia di Lodi viene identificato un grosso focolaio, e subito dopo in Val Seriana (Bergamo). Il Policlinico San Matteo di Pavia, che è il primo ospedale italiano a studiare le varianti, ne individua ben sette, tutte correlate allo stesso ceppo, anche se con caratteristiche diverse: qualcuna più lenta, altre più veloci (qui l’approfondimento). Dagli studi effettuati dal matematico-epidemiologo Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) e dall’Istituto superiore di Sanità (Iss) emerge che, in assenza di misure di controllo del virus, in quel momento il numero medio di persone infettate da un contagiato (R0) va da 2,8 a 3,1.Nell’estate 2020 calano le restrizioni, si riprende a viaggiare, e in Italia vengono introdotte almeno una decina di varianti virali presenti in altri Paesi, a cui viene assegnata una sigla: B.1, B1.1, B.1.5 ecc., a seconda del Paese di origine. Poi, dall’autunno 2020, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) cominciano a classificare le varianti e a tracciare le nuove mutazioni per vedere quanto possono essere refrattarie ai vaccini in fase di sperimentazione. Nel settembre 2020 nel Regno Unito viene identificata l’Alfa, nello stesso periodo in Sudafrica viene trovata la Beta, e a dicembre 2020 in Brasile è tracciata la Gamma.
Varianti in circolazione nel 2021
Da gennaio ad aprile 2021 in Italia Alfa, Beta e Gamma circolano in contemporanea. Stimare il loro R0, dunque quanti ne contagia un infetto, è complicato sia perché non ci sono più le condizioni iniziali (popolazione tutta suscettibile al virus, non vaccinata e assenza di misure di controllo) sia perché i calcoli devono tenere conto della co-presenza di diverse varianti. Ma nonostante questi limiti, è possibile calcolare la maggior trasmissibilità di una variante rispetto alle altre. Sempre con l’aiuto dei dati di Merler e dell’Iss, vediamo cosa succede. L’Alfa ha un indice di trasmissibilità superiore da 1,45 a 1,66 volte rispetto al virus del 2020. Vuol dire che in assenza di misure di controllo un infetto può contagiare in media circa altre 4,5 persone. Da aprile 2021 la variante Alfa circola quasi esclusivamente in tutt’Italia (91,6%), senza però dare segni di bucare i vaccini.
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