Il nuovo disagio ignorato
Il soggetto che per quantità degli interventi e qualità delle motivazioni rappresenta la maggiore novità è il terzo settore, che arriva a svolgere «una funzione di supplenza delle istituzioni»
Nel dibattito che si è aperto dopo la proclamazione dello sciopero generale da parte di Cgil e Uil c’è chi, tra gli intellettuali della sinistra italiana, ancor più che applaudire alla piattaforma dei sindacati ha visto in quella decisione soprattutto il valore di un rilancio e di una nuova centralità del conflitto. Ossigeno puro, è stato scritto, rispetto al rischio di un soffocamento della dialettica sociale e, per esteso, della stessa democrazia. Ma davvero corriamo questo pericolo? Si può dire in assoluta coscienza che le società della seconda modernità si caratterizzino per un’assenza di conflitti e per una tendenza all’unanimismo? Credo proprio di no e non lo dico per un pre-giudizio politico di merito ma partendo dal riconoscimento che i fattori oggettivi di conflitto non solo restano in campo ma si allargano nella gamma e nella profondità. Sullo sfondo c’è la difficoltà nella distribuzione di risorse il cui limite quantitativo è ormai strutturale e che solo in questa fase di gestione dell’emergenza Covid è stato temporaneamente messo tra parentesi, grazie alla generosa spesa extra-budget dei governi. Ma se una volta, secondo la nota vulgata, il conflitto distributivo che si proiettava sul terreno politico era prevalentemente quello iscritto nella relazione capitale-lavoro, oggi sappiamo bene che le linee di faglia sensibili riguardano il peso contrattuale e le prospettive delle nuove generazioni, la partecipazione di genere, l’integrazione degli immigrati e, in primo luogo, l’utilizzo razionale delle risorse naturali del pianeta.
Di conseguenza più che piangere per la morte del conflitto l’operazione che la sinistra dovrebbe mettere in campo è quella di lavorare a una nuova mappatura delle contraddizioni sociali che aggiorni la vecchia. Non è un caso che almeno in due materie la gauche italiana si sia dimostrata impreparata e sia stata costretta a correre in affannoso recupero: la povertà assoluta e l’emergenza ecologica. Mentre è rimasta pervicacemente affezionata a una centralità del conflitto capitale-lavoro, nonostante nel frattempo quest’ultimo avesse trovato nel sistema delle relazioni industriali una buona regolazione.
Se non sono spariti i fattori oggettivi di conflitto sono lungi dall’essersi spenti anche quelli soggettivi. Come testimoniano i sondaggi di opinione la percezione di vivere in un contesto caratterizzato da profonde ingiustizie sociali è ampiamente diffusa così come ha conquistato grande spazio il sentimento di deprivazione relativa, un combinato disposto generato dalla differenza aspettative/risultati e dal confronto tra la condizione odierna e quella «aurea» dei propri genitori. Non c’è quindi da temere che le platee del conflitto restino deserte, non ultimo perché sono alimentate da nuovi imprenditori della protesta-a-prescindere come buona parte dei talk show e dei social network.
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