Il nuovo disagio ignorato
Il vero problema non è la mancanza di materia prima — il conflitto per l’appunto — ma la sua inadeguata mediazione, l’assenza di una «lavorazione» che sappia estrarre valore da quella mobilitazione emotiva e la indirizzi verso l’elaborazione di soluzioni o la creazione di esperienze di coesione e di comunità. E la sinistra, nella sua doppia versione tradizionalista o riformista, non è riuscita in questa operazione. Quella socialdemocratica ha subito un doppio scacco vedendo i poveri concorrere al successo dei 5 Stelle e gli operai votare per la Lega mentre la seconda, di tradizione blairiana, non è riuscita a scrivere un nuovo alfabeto del conflitto dando centralità ai temi della scuola e della mobilità sociale. In assenza di una cultura politica capace di rileggere la mappa dei conflitti della seconda modernità, di mitigare il sentimento di deprivazione relativa e in parallelo di affrontare i nodi irrisolti della giustizia sociale, ci sono rimaste solo le buone pratiche. Esperienze di massa che partono dall’interno della società, si muovono secondo nuovi modelli di mediazione del conflitto che non ricercano il potere di veto ma costruiscono quotidianamente soluzioni e valori di comunità. Una di queste fa riferimento al sistema delle relazioni industriali ma sicuramente il soggetto che per quantità degli interventi e qualità delle motivazioni rappresenta la maggiore novità è il terzo settore, capace di coltivare la sua identità non giocando «a specchio» contro la politica ma intermediando il bisogno delle persone e per questa via, come è accaduto durante la pandemia, arrivando a svolgere quella che Giuseppe Guzzetti ha definito come «una funzione di supplenza delle istituzioni». E allora perché dedichiamo al mondo del non profit un centesimo dell’attenzione e degli approfondimenti che riserviamo a uno sciopero generale di vecchio conio? Forse perché molti, compreso chi scrive, sono ancora legati a un antico paradigma del conflitto, prigionieri dell’idea che la sinistra abbia ancora un diritto di primogenitura, attratti dall’estetica delle contrapposizioni e restii ad ammettere che conflitto e giustizia sociale non sempre sono sinonimi.
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