Cacciari: “La scomparsa del ragionevole dubbio nella grande nebbia sollevata dal Covid”
Massimo Cacciari
La Tecnica è infinitamente più che Tecnica e Scienza, astratta dal contesto economico e politico in cui opera, è una pura idea, forse già dal tempo di Euclide. La ricerca scientifica è l’anima del progresso tecnico che a sua volta lo è dello sviluppo economico, e il loro sistema plasma e modifica la nostra cultura, le nostre visioni del mondo, le forme di vita. Nel giudicare tale sistema e il modo del suo procedere, «complottisti» e cantori della Scienza come Verità incorrono nel medesimo pregiudizio vetero umanistico: che le cose accadano sulla base di calcoli e progetti saldamente in mano a un Soggetto “armato” di tutte le informazioni necessarie e di tutti i mezzi per realizzare i propri piani. C’è da una parte il grande Vecchio “cattivo” e dall’altra l’Ego o super Ego “buono”, quello del puro Sapere.
Il primo, fortunatamente, è facile da demolire, il secondo va invece criticato – ed è affare assai arduo, anche se tutta l’epistemologia contemporanea si regge su questa critica, e cioè sull’analisi dei limiti statistico probabilistici della scienza, limiti che rendono assai evanescente lo stesso confine tra scienze esatte e scienze congetturali. La scepsi che interroga, dubita, esige chiarezza dovrebbe, secondo questo metodo, essere intrinseca a ogni affermazione scientifica, ognuna dovrebbe presentarsi da sé come dubitanda.
In momenti di grande crisi come quelli che viviamo è quasi inevitabile avvenga invece il contrario. L’esigenza di uscirne al più presto e il bisogno biologico di sicurezza producono una prepotente domanda di certezze, che però si può mutare molto rapidamente in richiesta di asserzioni risolutive, innegabili. Ciò che è per sua natura complesso viene allora ridotto a uno, semplificato all’osso. Ogni ragionevole dubbio diventa semplicemente un ostacolo alla decisione.
Il pensiero critico, e cioè scientifico, non dovrebbe che opporsi, secondo i suoi stessi principi, a una simile tendenza. Ma avviene che a volte non lo faccia, o solo in qualche sua minoranza, e per motivi oggettivi, che prescindono dalla buona o cattiva fede dei singoli. Se la crisi non è governata anzitutto in sede politica, attraverso l’azione di un autorevole comando politico, è inevitabile che la domanda di risposte “oltre ogni dubbio”, di certezze assolute (passaggio illogico dal certo al Vero!), sia rivolta al Tecnico e allo Scientifico. Essi si trovano allora investiti di un ruolo del tutto improprio di “sostituti” del governo politico – o, più precisamente, quest’ultimo, per la sua debolezza, per la fragilità della sua costituzione, si maschera dietro il sapere tecnico, ne sollecita risposte univoche e riduce la propria azione di contrasto della crisi( “resilienza” si usa oggi dire), che avrebbe dovuto avere carattere sistematico, a una sola delle componenti di quest’ultima. D’altra parte, in situazioni analoghe, non può non crescere la tentazione nella comunità scientifica di svolgere funzioni generali di direzioni e di potere.
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