Mario al Quirinale? Improbabile e rischia un martirio

Paolo Armaroli

Di questi tempi, i periodi ipotetici vanno a ruba. Tra i tanti «se», non si può escludere l’elezione dell’attuale presidente del Consiglio alla suprema magistratura dello Stato. Tutto è possibile, sia chiaro. Ma al momento la cosa è improbabile. Perché un personaggio carismatico come SuperDraghi o riesce al primo scrutinio e a larga maggioranza, o sarebbero guai. Fatto sta che Silvio Berlusconi è stato candidato dal centrodestra, e la sua non sarà una mera candidatura di bandiera.

Perciò Draghi potrebbe saltar fuori solo in un secondo momento, qualora la candidatura di Berlusconi non decollasse. Ma anche se la gran parte dei partiti lo sponsorizzasse, si esporrebbe al martirio di San Sebastiano. Infilzato da un gran numero di franchi tiratori, timorosi di perdere la cadrega nel caso di un probabile scioglimento delle Camere. Ma visto che tutto è possibile, supponiamo che Draghi diventi il primo cittadino dello Stato prima del 3 febbraio, data di scadenza del settennato di Mattarella. In quel momento le bocce rimarrebbero ferme. Perché Mattarella rimarrebbe capo dello Stato e Draghi presidente del Consiglio.

Le cose cambierebbero il 3 febbraio, quando Draghi giurerebbe davanti al Parlamento in seduta comune. Draghi diventerebbe capo dello Stato e decadrebbe dalla carica di premier per incompatibilità. Nello stesso momento si applicherebbe l’articolo 8 della legge n. 400 del 1988, secondo il quale la presidenza spetta al ministro più anziano secondo l’età. Ossia a Renato Brunetta. Il quale immediatamente rassegnerebbe le dimissioni nelle mani del nuovo capo dello Stato, che lo inviterebbe a rimanere al suo posto per il disbrigo degli affari correnti. Nessun vuoto di potere, dunque. Perché anche le istituzioni hanno un horror vacui. Per cui non sono ammissibili lacune. Ma è a questo punto che viene, per così dire, il bello. A partire dal giorno dopo, 4 febbraio, Draghi dovrebbe provare e se del caso riprovare, alla scuola dell’Accademia del Cimento, allo scopo di dar vita a un governo vitale. Ma non sarebbe un’impresa facile.

Delle due, l’una. O pesca il nuovo inquilino di Palazzo Chigi tra i suoi ministri, ma allora avrebbe ragione Giorgetti nel dire che avremmo di fatto un semipresidenzialismo alla francese. Difatti Draghi darebbe il la a un governo di sua fiducia che guiderebbe dall’alto del Quirinale. E i partiti non la prenderebbero bene. O Sua Maestà la Partitocrazia gli darebbe un nome per la presidenza, e la cosa è altamente improbabile. Perché le forze politiche, ridotte all’estremo, sul nominativo si dividerebbero e manderebbero tutto all’aria.

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