Nucleare: la Sogin doveva smantellare le centrali, ma dopo 21 anni i rifiuti radioattivi sono ancora lì
E di nuovo viene annunciata l’imminente accelerazione tramite la «standardizzazione dei progetti e delle procedure di licensing; realizzazione di facility polifunzionali; centralizzazione della gestione dei rifiuti radioattivi». La previsione al 2025 sono attività per 910 milioni, di cui 94 entro il 2020. Di quelle programmate ne sono state eseguite per 50 milioni. L’andamento trimestrale del reale Stato di Avanzamento Lavori (Sal) mostra che anche nel primo trimestre 2021 le attività eseguite sono state 6 volte inferiori a quelle del trimestre precedente, come accade da almeno un decennio.
I rifiuti liquidi a Saluggia e il progetto Cemex
La priorità assoluta è la messa in sicurezza dei rifiuti liquidi a Saluggia e la messa a secco del combustibile di Rotondella. Nel 2012 Sogin affida a Saipem, una della più grandi imprese di progettazione al mondo, la cementificazione dei rifiuti radioattivi. Il progetto «Cemex» è complesso perché deve utilizzare impianti che consentano di condurre le operazioni da remoto, visto l’alto livello di radioattività dei liquidi da trattare. Saipem consegna il progetto nel 2013. Sogin lo approva nel 2015, ma poi non sa gestirlo. Nel 2017 l’amministratore delegato Desiata e il direttore dello smantellamento degli impianti del combustibile, ingegner Emanuele Fontani, aprono un contenzioso. Dopo un ultimatum di Saipem, Sogin risolve il contratto per «manifesta incapacità».
Nell’impianto di Saluggia ci sono 270 mila litri di rifiuti radioattivi liquidi e acidi, stoccati in serbatoi di acciaio costruiti negli anni ‘60 Passano 3 anni, nel frattempo Fontani è nominato amministratore delegato di Sogin e, a luglio 2020, viene bandita una gara. A settembre, pochi minuti prima della scadenza dei termini, presenta un’offerta un solo raggruppamento di imprese composto da: consorzio Stabile Teorema, consorzio Stabile Conpact, consorzio Stabile Infratech, Penta System srl. Tutte aziende medio piccole, senza alcuna esperienza nucleare né di grandi impianti. A maggio 2021 incassano un anticipo di 30 milioni. A oggi sono state istallate la gru e le baracche di cantiere. Come risulta da ispezione Isin, su 6,9 milioni di euro di attività programmate per il 2021 al 30 novembre ne erano state eseguite per 400 mila euro. Nell’impianto di Saluggia ci sono 270 mila litri di rifiuti radioattivi liquidi e acidi, stoccati in serbatoi di acciaio costruiti negli anni ‘60. Sullo stato di conservazione non è dato sapere, perché inaccessibili a causa dell’alta radioattività. Nel ‘77 la licenza di esercizio rilasciata ai gestori dell’impianto aveva questa prescrizione: i rifiuti liquidi vanno solidificati entro 5 anni. Ne sono passati 40 e sono ancora lì. Caso unico al mondo.
Il deposito che non c’è
La ricerca del sito nazionale dove conferire tutti i rifiuti è partita nel 2000. Nel 2002 la Conferenza Stato Regioni ha prodotto una prima mappa. Altre sono state fatte nel corso degli anni, ma tenute nei cassetti. Il 9 gennaio scorso vengono resi pubblici i luoghi più adatti: 12 aree collocate fra la provincia di Alessandra (dove oggi sono stoccati i rifiuti più pericolosi nelle condizioni che abbiamo detto), di Torino e Viterbo. L’iter prevede la consultazione pubblica, la stesura di una carta definitiva e, infine, il confronto con le popolazioni per raggiungere un accordo sull’indennizzo. Solo a quel punto può iniziare la costruzione vera e propria, che durerà quattro anni e costerà 900 milioni. Ad oggi, 20 dicembre, questi dialoghi Sogin non li ha neppure iniziati. Nel frattempo, i rifiuti mandati in Inghilterra e in Francia al condizionamento stanno tornando indietro. Non avendo ancora il sito nazionale dove metterli, dobbiamo pagare 50 milioni l’anno per tenerli stoccati fuori.
I costi
Il costo totale previsto per il completamento del decommissioning entro il 2019 era di 3,7 miliardi. Come risulta dalle delibere Arera, alla fine del 2020 Sogin è già costata 4 miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi sono serviti a pagare gli stipendi del personale (lievitato da 650 a 1.100 unità), le auto di alta gamma e altri benefit e bonus agli oltre trenta dirigenti. Lavori eseguiti in 20 anni: circa il 30%. Il condizionamento dei più pericolosi rifiuti radioattivi pregressi non è neppure iniziato, e lo smantellamento delle «isole nucleari» (Trino, Caorso, Latina, Garigliano) nemmeno del tutto progettato. Eppure i dirigenti, nonostante siano responsabili dei risultati sopra descritti, sono sempre stati tutti confermati. Non solo, hanno pure incassato i bonus. Il meccanismo è questo: alla fine di ogni anno si riduce drasticamente il volume dei lavori da eseguire l’anno successivo, così stai sempre dentro al budget. L’anno successivo cambi il tipo di lavori da concludere nell’anno, con altri più semplici. L’Autorità approva, e i dirigenti incassano il premio. Mediamente 3 milioni di euro l’anno.
Chi deve vigilare
L’Autorità per l’Energia ha sempre pagato a piè di lista, senza applicare le penalità previste quando non si raggiungono gli obiettivi. Solo quest’anno ha introdotto un nuovo quadro regolatorio. Non ha mai vigilato l’azionista cioè il Mef, né il ministero dello Sviluppo Economico, né il ministero dell’Ambiente.
Oggi la governance Sogin ha trovato un ostacolo nel ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani: «l’unica soluzione possibile è un commissariamento su modello Ponte Morandi, perché è un problema di ordine nazionale». Il Mef prende tempo. Un altro rinvio ci può esporre a rischi di dimensioni spaventose. Solo a Saluggia, ricordiamo, è stoccata il 75% di tutta la radioattività presente sul territorio nazionale. E la messa in sicurezza è stata assegnata a un gruppo di imprese di manutenzione e pulizie! Il sito è a 60 metri dal fiume Dora Baltea e sopra la falda dell’acquedotto del Monferrato. Dopo l’alluvione del 2000, Carlo Rubbia, allora presidente dell’Enea, proprietaria del sito, recapitò al governo uno studio (qui la lettera originale di Rubbia): «lo sversamento di una parte di quei liquidi renderebbe necessaria l’evacuazione delle sponde del Po fino al delta, e terreni e falde adiacenti inutilizzabili per decenni». Con quale giustificazione si prende ancora tempo? dataroom@corriere.it
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