L’idea presidenzialista figlia della palude

Marco Follini

Caro direttore, lo scivolamento verso la repubblica presidenziale non è solo il sogno di Giorgia Meloni, né solo l’incubo (o, almeno, l’apprensione) di molti di noi, antichi fautori di una repubblica parlamentare. E’ una tendenza, uno scivolamento appunto, che avviene per il progressivo smottamento del terreno su cui poggia da anni e anni l’equilibrio dei nostri poteri e delle nostre consuetudini.

Già il fatto che l’elezione del prossimo capo dello Stato – metà fiction, metà beauty contest – sia diventata l’argomento quasi ossessivo del nostro discorso pubblico, e che ne venga fatta discendere ogni conseguenza per il nostro futuro politico, dovrebbe mettere in allarme. È vero, fino ad ora i capi dello Stato da cui ci si aspettava lo scioglimento dei nostri nodi più intricati hanno avuto cura di mantenersi nell’ambito più stretto e rigoroso delle loro prerogative. Ma lo spazio della discrezionalità che le attuali regole delimitano tende semmai ad espandersi, e la crisi dei partiti finirà a lungo andare per lasciare all’arbitro la potestà di giocare in prima persona. Relegando i giocatori titolari alla irrilevanza della panchina. Non è un caso dunque che in questo contesto tanta parte dell’opinione pubblica si dichiari a favore del presidenzialismo. Votare il capo dello Stato infatti sembra essere una freccia in più all’arco del cittadino. Nonché una semplificazione di giochi politici che abbiamo avuto il (pessimo) gusto di rendere più oscuri e complicati anche quando invece potevano essere limpidi e raccontati con limpidezza.

Ora però ci si mette di mezzo il prossimo Quirinal game. Che sembra svolgersi secondo modalità e strategie fatte apposta per spingere ancora più l’opinione pubblica verso la deriva del presidenzialismo. Infatti, da un lato la corsa al Colle viene descritta come la madre di tutte le battaglie, più di quanto non sia. Dall’altro i combattenti di quelle battaglie si comportano o come gladiatori scesi nell’arena a combattere i leoni oppure come agenti segreti in missione coperta. E proprio la combinazione tra l’opacità dei loro disegni e il fragore delle loro manovre finisce per indurre gli elettori a diffidare di ogni forma di delega.

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