Povertà, le mille ombre dell’Italia: gli indigenti aumentati del 22% rispetto all’anno scorso

Poi, man mano che passavano le settimane, tutti hanno cominciato a chiedere di togliere qualcosa. Prima il deodorante, lo shampoo, i prodotti per l’igiene, e poi le cose più costose da mangiare, come l’olio, il caffè: i volontari hanno capito che a quelle rinunce corrispondeva una mappa che, a seguirla, portava dritta alle nuove povertà. Famiglie che hanno smesso di pagare l’affitto, il mutuo, le bollette. «Persone che vivono nella costante incertezza di portare a casa qualcosa da mettere in tavola – continua Francesca Agnello – così abbiamo istituito un centralino aperto tutti i giorni, stilato una lista di beneficiari cui consegniamo gratuitamente pacchi che contengono cibo secco, talvolta anche frutta e verdura. Ogni settimana aiutiamo 1300 famiglie». Come quella di Adriana. Madre sola di due figli, una ragazza di 27 anni e un ragazzo di 18. Adriana è nata e cresciuta a Quarto Oggiaro, un tempo quartiere frontiera alla periferia nord occidentale di Milano: spaccio, malavita, occupazione abusive. Quarto Oggiaro oggi è una piccola città di 35 mila persone e, sebbene l’amministrazione si sforzi di emanciparla dall’etichetta di area degradata (Quarto Oggiaro è anche un quartiere vivo e ricco di attività sociali e culturali, frutto della collaborazione tra istituzioni, associazioni e cittadini) lungo le sue strade si incontrano i volti segnati dalla crisi e dalle ingiustizie sociali. Comequello di Adriana. «La gente ha cominciato ad andare all’Esselunga, aprire i pacchi di cibo, mangiarli lì e poi tornare a casa – racconta – le persone qui sono sempre le stesse, e se qualcuno arriva a mangiare al supermercato perché non ha niente, vuol dire che non ha ricevuto aiuti. Questa è la discriminazione». Adriana lavora in un’impresa di pulizie dal 1999. La sua famiglia è andata avanti con 1000 euro al mese per tanto tempo. Quando è iniziato il lockdown, la ditta le ha dimezzato le ore di lavoro, quanto più passavano le settimane, tanto più si svuotava la dispensa. Così ha presentato la sua situazione a Emergency e ha iniziato a ricevere il sussidio settimanale. Dice: « È un grande aiuto sapere che puoi mettere sempre in tavola un piatto di pasta, che non muori di fame. Vai avanti anche se non hai la bistecca, la pasta ti fa andare avanti lo stesso». La sua preoccupazione non era sfamarsi, ma pagare gli studi di sua figlia, farla laureare.

Anche in questo caso le differenze tra centro e periferia sono nette, a Pagano e Nocetta, due zone centrali della città ci sono sette volte i laureati di Quarto Oggiaro. È per stringere questa forbice, per sostenere il riscatto di sua figlia, che Adriana ha cercato lavoro a ogni angolo.

Da qualche mese, fa le pulizie a casa di un medico, ma gli ha detto di abitare «vicino all’ospedale Sacco, ancora adesso se dici che abiti a Quarto Oggiaro ti guardano come se arrivassi dal terzo mondo».

Per dare una possibilità a sua figlia, per non vanificare gli impegni degli ultimi anni, Adriana ha fatto ogni lavoro che ha trovato: accompagnare gli anziani dal medico, la badante, le pulizie anche la sera tardi e la mattina presto, stirare per cinque euro l’ora. Vederla laureata era il suo unico obiettivo. Per questo, quando non lavorava, durante il lockdown, pensava solo a come pagare la retta della scuola paritaria per traduttori e interpreti, le due rate che mancavano per farle finire gli studi. Un totale di otto mila euro. «Alla scuola non interessava se lavoravi o no, la retta è quella e se non paghi non entri, e anche questa è discriminazione sempre più accentuata, sempre più incisiva, e ne fanno le spese i giovani», dice .

L’8 novembre scorso, la figlia di Adriana si è laureata. Insieme hanno brindato, hanno pianto. Hanno gioito, soprattutto. Adriana dice che sua figlia era bella, che nelle avversità ce l’avevano fatta, insieme. E che lei, sua figlia, «è brava, proprio brava». È proprio brava, ma rischia di restare bloccata in una trappola territoriale che impedisce la mobilità sociale perché, come ricorda l’economista Salvatore Monni, «Milano produce una ricchezza importante, il reddito medio più alto del paese ma questa ricchezza non riesce ad arrivare a tutti. C’è un problema nel nostro modello di sviluppo». Un modello di sviluppo che si è inceppato sulla soglia della redistribuzione del reddito anche a Milano, una città che genera ricchezza ma la ripartisce in modo disomogeneo, allontanando sempre di più chi ha opportunità da chi non le ha né le avrà. Generando a caduta una povertà che va guardata negli occhi, blu profondo di malinconia e tenacia, come quelli di Adriana.

Seduta al sole del parco di Quarto Oggiaro, di fronte alla sede dell’associazione che distribuisce i pacchi alimentari, dice: «La periferia è sempre periferia, e loro, i ricchi, pensano sempre: quelli in periferia sono abituati così, si arrangiano e ne vengono fuori. Ma siamo tutti esseri umani, c’è chi ha lavorato tanto e fa successo e c’è chi lavora e va avanti con dignità. E così alla persona gliela togli la dignità».

LA STAMPA

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