Chi ha svelato il problema dell’austerità
Allievo di Keynes e Einaudi, amico di Gramsci, Wittgenstein, Mattioli, il torinese Piero Sraffa è stato il gigante dimenticato del pensiero economico italiano del Novecento
Nel Novecento l’Italia ha dato vita a una scuola di pensatori economici di assoluto livello che hanno saputo far evolvere la disciplina e, soprattutto, capire la complessità delle grandi trasformazioni in corso nel tempestoso XX secolo. Tra questi, un maestro dell’economia del Novecento, tra i principali allievi di pensatori come Luigi Einaudi e John Maynard Keynes, il torinese Piero Sraffa (1898-1983).
Sraffa, l’economista della complessità
Sraffa interpretò la complessità della sua epoca andando oltre la classica dicotomia tra Stato e mercato, capendo quanto a partire dall’era successiva alla Grande Guerra l’ingresso di grandi masse nella partecipazione attiva alla società contemporanea, i cambiamenti industriali e le crescenti rivendicazioni imponessero nuove chiavi di lettura capaci di superare le spigolature del modello liberista di inizio Novecento e le tentazioni della reazione autoritaria.
Filosofo e pensatore politico prima ancora che economista, pur essendo estremamente attento al lato quantitativo della disciplina, Sraffa fu uno dei grandi critici delle dinamiche del suo tempo, fornendo sul piano economico le visioni che autori come José Ortega y Gasset o Johan Huizinga fornirono su quello socio-politologico. Così come questi grandi pensatori ritenevano inevitabile un’unione tra le grandi mutazioni sociali dell’epoca e gli sconvolgimenti politici che avevano portato all’era dei totalitarismi, Sraffa portò avanti un’analisi che imponeva di considerare l’economia come arma e strumento politico in grado di condizionare tali sviluppi.
Non a caso durante tutta la sua vita fu fortemente focalizzato sul rifiuto di ogni misura che imponesse paradigmi economici come assunti religiosi, prima fra tutta qualsiasi scelta recessiva che andasse nella direzione di misure di austerità promosse per subordinare l’uomo alle leggi di mercato.
Alessandro Roncaglia, già professore ordinario di Economia politica alla Sapienza Università di Roma, e socio nazionale dell’Accademia dei Lincei ha scritto nel saggio L’età della disgregazione dedicato al pensiero economico contemporaneo molto del ruolo di Sraffa come pensatore poliedrico e capace di dare lezioni al presente. In questi tempi, ha scritto Roncaglia, “un conto è concepire la teoria economica come il modo in cui gli esseri umani affrontano il problema della scarsità, altro conto è guardare all’insieme delle relazioni economiche dal punto di vista della divisione del lavoro in un flusso circolare di produzione, distribuzione e consumo”. Quanto fatto durante l’intera sua carriera da Sraffa, che ha saputo confrontarsi come detto con i maggiori pensatori della sua epoca.
Un economista filosofo
Formatosi con Einaudi, suo relatore all’Università di Torino di una tesi sull’inflazione dell’Italia durante la Grande Guerra, docente dal 1923 a Cagliari e amico del filosofo Antonio Gramsci, dal 1927 chiamato da Keynes a Cambridge dove resterà fino alla morte, prima al Trinity College (fino al 1939) e poi al King’s College e ove fu lecturer per tre anni, poi director of researches, infine bibliotecario della Marshall Library fino all’ultimo giorno della sua vita, Sraffa si confrontò anche con altri importanti personaggi. Primi fra tutti il filosofo Ludwig von Wittgenstein, conosciuto nel 1929, e il “banchiere umanista” Raffaele Mattioli, che con Sraffa intrattenne una lunga corrispondenza negli anni in cui formava la classe dirigente della Banca Commerciale Italiana (Comit) all’ombra del regime fascista, allevando una generazione di pensatori liberi nell’ufficio studi formato anche grazie alle intuizioni sraffiane in cui saranno accolti, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Guido Carli ed Enrico Cuccia, con cui costruì il progetto dell’IRI e di Mediobanca, e le influenze dei “Quaderni dal Carcere” sraffiani conservati in segreto nei caveau dell’istituto.
Per Sraffa le teorie economiche, siano esse antiche o moderne, non emergono semplicemente come frutto di mera curiosità intellettuale. Esse hanno origine da problemi di natura pratica che interessano la comunità e necessitano una soluzione, concernenti la produzione, il lavoro, la distribuzione dei mezzi. Sapere umanistico, ovvero una conoscenza della storia e delle società, e sapere matematico, per la modellizzazione di tali teorie, devono andare di pari passo: Sraffa sottopose a rilettura critica tutti i grandi classici, da Marx a Ricardo, ricordando l’importanza della dialettica politica nel promuovere una soluzione piuttosto che un’altra.
“Interessi opposti sostengono una soluzione o un’altra e adottano argomentazioni teoriche, ovvero universali, per provare che la soluzione da loro proposta è conforme alle leggi naturali, o che essa sarebbe attuata nell’interesse pubblico, o nell’interesse della classe dirigente o di qualunque sia l’ideologia dominante in un dato momento”, scrisse Sraffa nelle sue “Lezioni avanzate sulla teoria del valore”. Con la sua ricerca Sraffa ha fornito tutti i tasselli fondamentali al perseguimento dell’obiettivo di un abbandono della tradizione marginalista, che fondava sull’atomizzazione sociale e la negazione dell’utilità sociale del lavoro i suoi presupposti, a favore di un approccio omnicomprensivo che mirava a unire la ricerca del pieno impiego e lo sviluppo della produzione industriale come obiettivi armoniosi e non alternativi.
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