Chi ha svelato il problema dell’austerità

Roncaglia, nella sua opera, offre un approccio che giudica fondamentale la divisione del lavoro come volano dello sviluppo economico e rifiuta le nozioni di equilibrio tra domanda e offerta, di homo oeconomicus perfettamente egoista – con preferenze indipendenti da quelle di chiunque altro, concentrato sul perseguimento del proprio benessere materiale, e mostra che leggendo attentamente pensatori come Keynes e Sraffa ci si accorge come le fondamenta delle teorie mainstream poggino sulle fragili fondamenta di concetti che poco hanno a che fare con il mondo reale.

Come Sraffa demolì la logica dell’austerità

Non è un caso che il pensiero di Sraffa, italiano che giocò e vinse la battaglia delle idee a casa dei “creatori dell’immaginazione” economica di matrice anglosassone, sia stato rimosso. Il ritorno in forze dei pensatori mainstream dagli Anni Settanta e Ottanta ha portato la teoria sraffiana fuori dalle accademia, a testimonianza del fatto che l’economia sia anzitutto scienza sociale e politica, in cui vale la regola secondo cui chi controlla il presente, ovvero gli equilibri politici e istituzionali dell’istruzione, controlla la narrazione delle idee del passato e quelle che si trasmetteranno alle generazioni future.

Non a caso sono tornate in auge teorie e idee smentite sul campo da studi risalenti a decenni fa. Nel quadro della marcia di avvicinamento alla sua opera “Produzioni di merci a mezzo merci”, ricorda Roncaglia, Sraffa smontò strutturalmente la base teorica di un concetto ritenuto invece oggi chiave nelle regole europee di bilancio, il cosiddetto output gap, secondo cui esisterebbe un livello “naturale” di produzione per un’economia associato a un dato livello di disoccupazione oltre la quale l’economia di un Paese si surriscalderebbe e sarebbero necessarie misure restrittive. L’output gap viene calcolato in funzione delle tre variabili: stock di capitale, tasso “naturale” di disoccupazione, produttività dei fattori produttivi. Variabili la cui consistenza è stata messa in discussione nel corso del Novecento dagli studi di Sraffa

Tale argomento, per la precisione, fu smontato da Sraffa in Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica della teoria economica (1960), cui seguì uno dei più celebri confronti teorici del tempo. Parliamo della “battaglia delle due Cambridge” tra i fautori della teoria mainstream, gli economisti della Cambridge americana (i futuri Nobel Paul Samuelson, Franco Modigliani, Robert Solow) e i critici di stampo keynesiano guidati da Sraffa (Nicholas Kaldor, Joan Robinson, Richard Kahn e l’italiano Luigi Pasinetti, oggi professore emerito in Cattolica) della Cambridge britannica. Sraffa, ha scritto Rethinking Economics, in sostanza guidò la vittoria di Cambridge britannica dimostrando “l’impossibilità di misurare il capitale – componente della funzione di produzione insieme al lavoro – in maniera indipendente da ciò che il capitale stesso contribuiva a determinare. Da ciò discendevano problemi relativi ai concetti di prodotto marginale del capitale e del lavoro, anch’essi indefinibili”. Un grave problema laddove al prodotto marginale si pretendevano di associare direttamente salari, valori del Pil e altri indicatori economici.

La teoria mainstream ha poi visti premiati i suoi esponenti, sponsorizzati da accademie, think tank, partiti politici, e vista a decenni di distanza la controversia è emblematica della governance globale dell’economia applicata negli ultimi decenni. Come vinsero i pensatoi mainstream? Spostando su Chicago e l’accademia americana il cuore della teorizzazione economica e sottraendo gradualmente spazio ai pensatori eterodossi. La cui lezione è però tornata d’attualità mano a mano che le varie crisi hanno messo al centro la necessità di promuovere l’economia reale sopra la finanza speculativa, il lavoro e il capitale come strumenti dell’evoluzione sociale e politica di ogni contesto economico, la conoscenza della storia come antidoto al ripetersi di crisi e recessioni. La lezione di Sraffa è quella di un approccio all’economia come sistema, come unione tra filosofia, pensiero politico, elementi matematici e influenze sociali. Come un prodotto umano a trecentosessanta gradi, non come una legge scolpita nel linguaggio del cosmo. Quanto di più distante da una retorica che ancora oggi appare invece dominante nonostante le smentite concrete succedutesi nel tempo.

IL GIORNALE

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