Ottanta parlamentari nei guai: sfruttano i collaboratori con contratti ridicoli e li mandano a fare la spesa

Valeria Di Corrado e Alberto DI Majo

Deputati e senatori sono i primi a non rispettare le leggi che approvano quando si trovano a vestire i panni del datore di lavoro. Sono circa 80 i collaboratori parlamentari che in questa legislatura hanno segnalato irregolarità nei contratti stipulati e condotte di sfruttamento, spesso al limite del mobbing. Ci sono «onorevoli» donne che mandano le loro assistenti (pagate dai contribuenti per aiutarle nell’attività legislativa) a comprare gli assorbenti in farmacia e altre colleghe che spediscono giovani laureati al supermercato a fare la spesa, che poi vogliono anche ricevere a domicilio.

Umiliazioni spesso subite in silenzio, per paura di non lavorare più nei palazzi della politica. C’è però chi trova il coraggio di trascinare deputati e senatori davanti al giudice del lavoro. Nell’attuale legislatura sono almeno una ventina le cause intentate dai collaboratori ai rispettivi parlamentari, per svariati tipi di prevaricazioni datoriali.

«I contratti stipulati quasi mai corrispondono al rapporto di lavoro sottostante – spiega l’avvocato Fabio Santoro, legale di fiducia dell’associazione Aicp-I parlamentari che legiferano contro i contratti atipici, sono i primi a usare finti co.co.co., co.co.pro. o partite Iva per risparmiare sul costo del lavoro, a fronte di orari rigidi e un rapporto gerarchico che andrebbe inquadrato come subordinato. Poi ci sono collaboratori che hanno scoperto di non avere un contributo versato dopo anni di lavoro; ad altri non è stato pagato il trattamento di fine rapporto o la tredicesima; c’è addirittura chi si è visto negare documenti fiscali come la certificazione unica. Qualcuno è stato licenziato in maniera semiritorsiva, qualcun altro senza preavviso. Insomma, il Parlamento italiano è un Far West in cui il parlamentare spende come vuole il suo budget».

Il collaboratore è la parte più debole, avendo nella maggior parte dei casi un contratto precario, che può essere interrotto in qualsiasi momento, senza una causale e con poco o nessun preavviso. A ciò, di contro, corrisponde una pressante richiesta di attenzione da parte degli onorevoli, spesso per incombenze personali. «Gli assistenti diventano una sorta di collaboratori domestici, obbligati a lavorare senza turni, anche di domeniche in orario notturno. Per questo – riferisce l’avvocato Santoro – in un primo momento deputati e senatori hanno una reazione muscolare quando sanno di essere stati citati in giudizio e minacciano l’ex collaboratore di chiedergli undanno all’immagine. Poi, però, la stragrande maggioranza di loro, piuttosto che arrivare a sentenza e rischiare la gogna mediatica in caso di condanna, preferisce arrivare a un accordo conciliativo che risarcisce integralmente l’assistente (anche per 20mila euro) ma, di contro, lo obbliga a rigide clausole di riservatezza». Lo scorso luglio la Camera ha finalmente pubblicato i dati ufficiali sul numero dei collaboratori dei deputati, richiesto da anni dall’associazione di categoria. In totale sono 488 gli assistenti contrattualizzati: solo il 24% di loro ha un contratto subordinato; il 40% circa ha un rapporto di collaborazione e il restante 36% è inquadrato come autonomo.

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