Corsa al Colle, la frenata dei partiti
Annalisa Cuzzocrea
Mario Draghi ha disegnato lo schema di gioco quasi fosse un allenatore che spiega ai calciatori come muoversi. Sembrava di vederli, ieri, durante la conferenza stampa, la lavagna, i segni col gesso bianco a indicare attacco e catenaccio, i giocatori che parlano tra loro: «Glielo spieghi tu che è molto più difficile di così? E che in realtà, a dover giocare la partita siamo noi?».
Le telefonate tra i leader sono cominciate mentre il presidente del Consiglio stava ancora rispondendo ai giornalisti. Ma è tra le righe di comunicati apparentemente simili che bisogna leggere per capire chi sono gli alleati di Mario Draghi, nella sua salita verso il Colle, e chi invece remerà contro fino all’ultimo momento utile. Una cosa accomuna tutti ed è il fastidio per la schiettezza del premier, che – per dirla con un ministro – la fa troppo facile: pensare che si possa formare un governo con una maggioranza uguale a quella che sostiene quello attuale come se niente fosse è – nella migliore delle ipotesi – una mancata conoscenza della politica e delle sue fatiche. Nella peggiore, una sostanziale indifferenza rispetto all’eventualità che la legislatura possa finire in modo brusco.
E quindi tutti i partiti della maggioranza – con l’unica eccezione di Italia Viva, che alla fine non ha fatto alcun comunicato – hanno parlato di «continuità» per ribaltare la questione posta dal premier: nelle parole di Draghi un governo non potrebbe continuare con una maggioranza che si spacca sulla presidenza della Repubblica. Questo sgombrerebbe il campo da candidature divisive come quella di Silvio Berlusconi, pena la caduta dell’esecutivo. È una sorta di minaccia che più d’uno – anche dentro il Pd – ha considerato inappropriata. Per questo, Lega, Forza Italia, Movimento 5 stelle e lo stesso Partito democratico stanno dicendo a “nonno Mario”, come lui stesso ha voluto definirsi: non è che se non c’è un accordo pieno sul Quirinale, non ci può essere su un altro governo. I fattori – vista la partita dalla finestra delle segreterie di partito – vanno invertiti: se non c’è un accordo largo, sicuro, blindato, su un governo che può andare avanti fino alla fine della legislatura, non può esserci sul successore di Sergio Mattarella.
Ci sono poi le sfumature, a rappresentare gli interessi diversi che si intrecciano e a volte si contrappongono: il Movimento 5 stelle ha vissuto con fastidio le parole di Draghi sul superbonus al 110 per cento, tanto da far intervenire a correggerle il suo vicepresidente Mario Turco. Ma al di là dell’eterna sensazione che vivano il premier come un usurpatore sul trono di Giuseppe Conte, di una cosa hanno paura più che di vedere l’ex banchiere centrale al Colle per sette anni: di non poter reggere la formazione di un nuovo governo davanti a un elettorato (già molto lontano dal 33 per cento di inizio legislatura) che sempre più li vede uguali a tutti gli altri. Anche perché, è l’analisi fatta davanti alla scrivania di Conte, «Giorgia Meloni adesso non sale nei consensi perché a Chigi c’è Draghi. Ma quando ci saranno Daniele Franco o Mara Cartabia o chi per loro, fare opposizione sarà una passeggiata di salute».
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