Corsa al Colle, la frenata dei partiti

È molto probabilmente la stessa paura di Matteo Salvini e la ragione del suo avvertimento dantesco, «del doman non v’è certezza», se cambiano gli equilibri. Quanto a Forza Italia, Silvio Berlusconi tiene in campo la sua candidatura e dovrà essere convinto dalla legge dei numeri che sarebbe meglio – per lui – contribuire all’elezione di Draghi e staccare un dividendo politico da un’operazione di sistema.

Il Partito democratico è diviso al suo interno, ma le mosse del Nazareno sono fatte – dichiaratamente – «a protezione dell’esperienza istituzionale di Draghi». Enrico Letta sembra convinto più di molti suoi compagni di partito del fatto che avere il premier al Colle potrebbe essere uno scenario che dà la stabilità di cui il Paese ha bisogno, ma la condizione – anche per il segretario dem – è che accadano due cose molto complesse da realizzare. E quindi tutte da costruire: un accordo ampio su un nuovo presidente della Repubblica di pari passo a un’intesa larga su un nuovo premier. «Anche oggi Draghi ha dimostrato di essere un civil servant di assoluto valore», dice il segretario pd. Che però conosce bene tutte le difficoltà e le variabili di un percorso appena cominciato: sa dei distinguo dentro il suo partito, che riguardano le aree più rappresentate dentro il Parlamento. Sa che sono in molti ad avere nel cuore candidati alternativi sui quali magari far convergere un consenso altrettanto ampio di quello cui aspira il premier.

Tra le cose che Draghi è sembrato sottovalutare, nel suo discorso, perfino secondo alcuni dei suoi ministri, c’è l’impatto della ripresa del Covid e della variante Omicron sul Paese. Uno dei tasti su cui da giorni lo incalza Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva sembrava, in queste settimane, in preda a una sorta di disamore nei confronti del capo del governo. Tanto da aver previsto per oggi un intervento in aula al Senato durante la discussione sulla manovra per criticarne prima di tutto il metodo, ma anche parte del merito. Contesta il fatto che la delega sul nuovo esame di maturità sia stata inserita in legge di Bilancio, contesterà un ritardo sulle terze dosi che imputa al ministro della Salute Roberto Speranza. I boatos lo davano al lavoro per la candidatura di Pier Ferdinando Casini per il Colle – e ferocemente contrario all’ipotesi Giuliano Amato – ma seppur chiamato dagli emissari della maggioranza, alla fine è stato l’unico a non far uscire un comunicato che suonasse da avvertimento al premier. «Sono il solo che gli tiene aperta la porta del Colle», diceva ieri, contraddicendo l’atteggiamento delle settimane precedenti.

Fuori da tutto questo c’è Giorgia Meloni, l’unica a non essere chiamata in causa sebbene Draghi abbia auspicato «una maggioranza anche più ampia dell’attuale». La leader di Fratelli d’Italia è convinta che alla fine, davanti a un aut aut, i partiti non possano che dire sì al presidente del Consiglio costruendo il percorso tracciato sulla lavagna. Lei, in qualunque caso, si prepara a fare opposizione. Sperando di restare in perfetta solitudine, magari con qualcuno – sul Colle – a rassicurare l’Europa qualsiasi cosa accada.

LA STAMPA

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