Conte e i grillini alla sfida finale, implosione 5 Stelle

Annalisa Cuzzocrea

C’è un regista che non sa da dove cominciare a girare. E ci sono gli attori, che recitano a soggetto. Il Movimento ha dato prova – negli ultimi giorni – di un impazzimento se possibile maggiore di quello che ha caratterizzato gli ultimi passaggi della sua storia. E non perché sia successo qualcosa di particolare, ma solo perché l’elezione del presidente della Repubblica – le operazioni politiche che sempre la precedono – illuminano come fossero riflettori accesi sulla scena tutte le crepe dei 5 stelle in Parlamento.

«Non mi sento sconfessato dalla riunione dei senatori in cui è stato chiesto che al Colle resti Mattarella», ha detto ieri Giuseppe Conte intercettato – in centro, a Roma – dalle telecamere del Fattoquotidiano.it. Ha annunciato un’assemblea congiunta dei gruppi per la prossima settimana, ma se andrà come quella di martedì sera, è difficile serva a molto. Due giorni fa la stragrande maggioranza dei parlamentari si è espressa contro l’obbligo vaccinale per il Covid-19. Conte, prima del Consiglio dei ministri decisivo, privato anche di uno dei suoi fedelissimi – il capodelegazione Stefano Patuanelli che alla riunione di governo non è andato – ha chiamato Mario Draghi per dirgli: «Possiamo arrivare a votare l’obbligo per gli ultrasessantenni, ma servono i ristori, serve un nuovo scostamento di bilancio, bisogna comunicare bene la ragione delle nuove misure».E insomma ha dovuto fare il contrario di quello che chiedevano i suoi parlamentari, perché – lo ha detto lui stesso – «dobbiamo lasciare un po’ di margine ai ministri, la situazione è delicata». Ma non è mai la cautela, a infiammare un gruppo di eletti. Né lo è l’eterno temporeggiare: «Non ha deciso ancora nulla neanche sui referenti regionali, vuole aspettare il Quirinale, ci schianteremo anche alle prossime amministrative», scrive un deputato nelle chat che più che mai sono sfogatoi contro la linea. Chiunque la rappresenti.

Per quanto Conte si affanni a negare, per quanto il suo vice Michele Gubitosa provi a coprire, vale – per quel che è accaduto al Senato, dove un gruppo di eletti ha scelto come candidato M5S per il Colle Mattarella – quel che ha detto con i suoi toni icastici Paola Taverna: «E che è, l’autogestione?». La capogruppo al Senato Castellone – che ha prevalso in quello che doveva essere il fortino contiano in Parlamento contro il candidato del leader, Ettore Licheri – continua a lamentarsi: «Non vengo coinvolta, nessuno mi dice nulla, queste trattative stanno avvenendo al buio!». La vicepresidente Taverna prova a spiegarle: «Perché se vi diciamo le cose poi saltano». Apriti cielo, i 5 stelle al Senato vogliono che Conte sia “affiancato” nelle trattative. Non credono che alla cabina di regia con i ministri e i capigruppo vengano svelate le vere carte. Alla fine, quella che chiedono, è davvero l’autogestione. Quella dei bei tempi della prima legislatura. In cui – disse un giorno Beppe Grillo mettendo fine all’andazzo – «votano per decidere se votare, votano per andare al bagno!». Che non sia più tempo di assemblearismo, tre governi dovrebbero averlo insegnato.

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