Dov’è finito il modello Italia?
Di solito le vaccinazioni obbligatorie sono per i bambini. Stavolta i bambini sono i meno vaccinati: soltanto uno su dieci. Segno che l’iniezione continua a fare paura alle famiglie italiane, e solo una parte della maggioranza che si è vaccinata l’ha fatto con convinzione; senza il Green Pass saremmo qui a contare non duecento morti al giorno, ma molti di più. Questa volta la vaccinazione obbligatoria è per gli italiani di età matura. Del resto, sono soprattutto le persone anziane a morire, e quelle di mezza età a sviluppare la malattia in forma grave.
Ma chi si vaccina non lo fa soltanto per se stesso, per salvare la propria vita. Né lo fa soltanto per proteggere il sistema sanitario, e di conseguenza interrompere il circolo vizioso delle chiusure, dei risarcimenti, del debito, dell’inflazione, insomma della rovina economica e della catastrofe sociale. Lo fa — e ora lo deve fare — perché è parte di una comunità. Perché tanti «io» fanno necessariamente un «noi». E quindi lo fa — e ora lo deve fare — anche per chi verrà dopo di noi: i nostri figli, i nostri nipoti.
È vero, i morti sono quasi tutti anziani. Ma sono soprattutto i giovani le vere vittime di una pandemia giunta al terzo anno; e non solo perché il contagio riguarda anche loro. Giovani che a lungo non hanno potuto andare a scuola e nelle prossime settimane faticheranno a potervi andare. Che hanno dovuto rinunciare a incontri, amicizie, amori, viaggi, opportunità, in una parola: vita. Che faticano a trovare stage (loro direbbero internship), esperienze, occasioni di formazione e di lavoro. Che non possono programmare nulla, tanto meno un’unione, una famiglia, un’idea di maternità e paternità di cui giustamente hanno parlato due ottuagenari come Mattarella e il Papa. È proprio per i bambini, gli adolescenti, i ventenni che noi over 50 siamo chiamati a questo sforzo. Perché alle giovani generazioni non possiamo lasciare solo debiti, telefonini e disuguaglianze quali non si sono mai viste nella storia.
Non nascondiamocelo: ci attendono due mesi durissimi. Continuiamo a ripetere come un mantra tranquillizzante che omicron, variante blanda, rappresenta l’inizio della fine per il virus. Magari il mantra si rivelerà corretto. Ma se anche — come tutto lascia prevedere — una parte infima dei contagiati di questi giorni finirà in ospedale, sarà sufficiente a mandare in tilt il sistema. Tutti, non soltanto medici e infermieri ma lavoratori del commercio, dei trasporti, della logistica, della scuola, della sicurezza e pure dell’informazione, saremo chiamati a fare il nostro dovere in circostanze mai sperimentate prima. Davvero è il momento di superare le discussioni sterili sui vaccini, di lasciare i narcisi del tennis e dell’accademia (o dell’arcadia) al loro destino, e di assumerci ognuno la propria responsabilità, facendo prevalere il «noi» sull’«io», conquistando la consapevolezza che la pandemia finirà per tutti o per nessuno.
Vale anche per la politica, per il presidente del Consiglio, per i leader dei partiti che lo sostengono.
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