Un pugnale alla gola della democrazia americana

Alle corde, Biden cambia pelle e si allinea con gli ex presidenti Obama e Jimmy Carter denunciando non una manifestazione di estremisti, ma una possibile deriva autoritaria in America, sulla falsariga di quelle dei regimi nell’Est europeo: non a caso, Trump dichiara il suo entusiasmo, stracciando il protocollo diplomatico, per il leader ungherese Viktor Orban.

È trend politico che tanti analisti europei, in particolare in Italia, stentano a comprendere: siano conservatori o progressisti, sono assuefatti alla stabilità politica e istituzionale degli Stati Uniti e scambiano la situazione attuale per uno scontro di routine tra partiti. Non è così. In un suo editoriale sul New York Times, l’ex presidente Carter, 97 anni, premio Nobel per la pace 2002, denuncia “ho paura per la nostra democrazia”, come Obama che dichiara “la democrazia rischia più oggi che un anno fa”. Il 17 dicembre, tre ex generali, Paul Eaton, Antonio Taguba e Steven Anderson, in un comune saggio pubblicato sul Washington Post, ammonivano i colleghi ancora in divisa al Pentagono “Siamo terrorizzati da un possibile colpo di stato militare nel 2024” citando i reduci e i soldati in attività che han presto parte al blitz a Washington, un manifestante su dieci era un ex membro dell’esercito, e il generale Thomas Mancino, ancora in servizio, che si è ribellato a un ordine diretto del presidente Biden sulla politica sanitaria, mettendo la Guardia Nazionale dell’Oklahoma a servizio del governatore repubblicano, malgrado la Costituzione faccia del presidente il capo supremo delle forze armate.

Da parte repubblicana solo l’ex presidente George W. Bush e il senatore Romney sembrano, apertamente, temere questa possibile svolta autoritaria, mentre i commentatori di destra, come il popolare Tucker Carlson che medita una sua corsa alla Casa Bianca nel 2024, irridono i democratici. Il governatore della Florida Ron De Santis, a sua volta pronto a candidarsi fra tre anni, dice che il 6 gennaio è un carnevale democratico, malgrado i sette morti accertati quel giorno, la catena di suicidi tra i poliziotti presenti, le dozzine di arresti, le condanne comminate a tanti manifestanti, decine rei confessi.

Trump voleva convocare un grande comizio per osservare, a suo modo, “la grande truffa” del 2020, ma lo stato maggiore repubblicano lo ha dissuaso. Si è dunque limitato a attaccare Biden, insistendo che le elezioni son state falsate e dando sostegno ai dimostranti di allora proclamando che “questo teatrino politico serve solo a nascondere il fallimento totale dell’amministrazione Biden”.

Questo è lo stato di cose presente in America. Ben lo sanno il presidente cinese Xi Jinping, che cancella i diritti a Hong Kong e assedia Taiwan, e il presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin che minaccia l’Ucraina e invia teste di cuoio in Kazakistan. Gli europei stanno a guardare incerti, da una parte dipendenti dall’energia russa, vedi controverso pipeline verso la Germania Nord Stream 2, in parte illudendosi che la difesa Usa li coprirà comunque, come ai tempi della Guerra Fredda, non disposti a investire in spese militari e difesa, scommettendo, a torto, che lo status quo si aggiusterà senza traumi.

I tre anni da qui alle prossime elezioni, con una leadership democratica fragile e divisa e un’opposizione repubblicana ostaggio dei nazionalisti, saranno difficili e incerti. Fondata nel 1776, spaccata dalla Guerra Civile nel XIX secolo, la stabilità Usa ha saputo maturare a lungo, liberandosi lentamente e dolorosamente dal retaggio di schiavismo, razzismo, oppressione che l’aveva vista nascere. Gli anni Venti saranno decisivi per il futuro del paese, con un possibile esito di innovazione e diritti e uno, fosco, di sciovinismo e autoritarismo. La difesa delle istituzioni sarà lunga, aspra, incerta e le democrazie di tutto il mondo dipenderanno dalle scelte americane.

L’HUFFPOST

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