Il destino (vero) del Paese: salvate il Pnrr

di   Ferruccio De Bortoli

In attesa di ascoltare finalmente, domani, la voce di Mario Draghi, poniamoci qualche domanda sull’indispensabile qualità dell’azione di governo. A maggior ragione di fronte al dilagare della quarta ondata del virus e a poche ore dalla contestata riapertura delle scuole. Non c’è dubbio che il buon senso (ce n’è ancora?) consiglierebbe, in uno stato di grave emergenza, di lasciare tra il Quirinale e Palazzo Chigi le cose come stanno. Un’opinione del tutto personale (già scritta sul Corriere all’inizio del semestre bianco). E non c’è dubbio che dal momento in cui è emersa l’autorevole candidatura del premier alla presidenza della Repubblica, l’esecutivo si sia indebolito e la maggioranza di fatto lacerata. E andrà ricomposta (con quale perimetro?) alla luce dell’esito quanto mai incerto dell’elezione presidenziale. Le forze politiche sono inevitabilmente concentrate sulla scadenza elettorale del 2023, dalla quale dipende il loro peso specifico e persino, in qualche caso, la stessa esistenza. Ma il destino del Paese è assai più importante ed è legato a un’altra data.

Entro il 2026 andranno realizzati tutti gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Un Piano che non è praticamente già fatto, come qualcuno pensa, ma tutto ancora da completare. Non usiamo l’espressione «mettere a terra» i tanti vitali progetti per l’ammodernamento del Paese — da definire entro il 2023 — perché temiamo che qualcosa sia già stato «messo a terra» malamente.

Nel senso di buttato via. Se falliremo, avremo perso l’ultima grande occasione per far ritornare l’Italia su un percorso di crescita stabile, in una dimensione economica e civile più giusta e inclusiva. E saremo esposti alle estreme difficoltà di gestire un enorme debito con tassi crescenti e la progressiva fine degli acquisti della Banca centrale europea. Uno scenario da incubo che — se siamo seri e responsabili soprattutto verso i giovani — non va rimosso. Dunque, in un titolo: salvate il Pnrr! Salvatelo dalla ricerca del consenso per le elezioni del 2023. E per farlo occorre che nel 2022 ci sia un governo il più possibile forte, autorevole, e non un esecutivo di passaggio (una volta si sarebbe detto balneare) in grado solo di portare ordinatamente l’Italia al voto. Una sorta di minimo comune denominatore della politica.

Nei giorni scorsi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, ha diffuso un documento (Relazione sul monitoraggio dei provvedimenti attuativi del governo) che riassume l’attività legislativa dell’esecutivo dal 13 febbraio al 31 dicembre del 2021. E testimonia il grande lavoro svolto, largamente superiore a quello dei governi precedenti. Sono stati 357 i provvedimenti legislativi approvati per far fronte a una «doppia emergenza sanitaria ed economica». Ma il dato più significativo è nella capacità di dare attuazione a ciò che si decide, che spesso resta sulla carta o vaga in una sorta di limbo amministrativo. Il governo Draghi ha una percentuale di adozione di provvedimenti attuativi del 57 per cento contro il 18,9 del Conte 2 e il 18,2 del Conte 1. In più ha abbattuto del 60 per cento (da 679 a 271) l’arretrato di decreti attuativi ereditato nel corso della legislatura.

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