Le mie domande per il premier e quei deliri No Vax a Torino
Con un quadro istituzionale invariato, l’Italia riuscirà a spendere almeno il 60 per cento dei 39 miliardi di aiuti a fondo perduto erogati dalla Ue con il Next Generation Eu. Con Draghi che trasloca da Palazzo Chigi al Colle, visti i tempi di formazione del nuovo esecutivo, la nostra capacità di spesa si riduce al 30 per cento. Con le elezioni anticipate, il “tiraggio” dei fondi europei crolla addirittura al di sotto del 15 per cento. E qualunque ritardo nell’attuazione del Pnrr, conseguente alle dimissioni del premier, ridurrebbe la spinta alla crescita del Pil dello 0,1 per cento nel 2022 e dello 0,35 nel 2023. Sono valutazioni spannometriche di una banca d’affari. Per inciso, quella nella quale Draghi è stato vice chairman e membro del comitato esecutivo tra il 2002 e il 2005. Ma hanno un fondamento reale, confermato dall’attenzione con la quale le cancellerie (vedi Emmanuel Macron negli ultimi giorni) e i mercati internazionali (vedi il rialzo dello spread nelle ultime settimane) seguono i destini del premier. E ci riportano alla domanda delle cento pistole, che la stessa Goldman Sachs ha riassunto con il titolo di una canzone famosa dei Clash: “Should I Stay or Should I Go?”, cioè “Dovrei restare o dovrei andare”?
È verosimile, anche se non auspicabile, che Draghi eviterà di rispondere in modo esplicito anche domani. L’ha già fatto alla conferenza stampa di fine d’anno, che è stata comunque vissuta e/o subita dai palazzi romani come la sua implicita autocandidatura alla presidenza della Repubblica. Ma questo è ormai il nodo intorno al quale tutto si sta aggrovigliando. Ed è anche per questo che il dovere della chiarezza di cui ha parlato Mattarella nelle scorse settimane diventa ancora più cogente e urgente. Per tutti. Non solo per il premier, ma anche per la sua maggioranza. Non sarà domani? Pazienza. Ma è tempo che Draghi dica cosa vuol fare di sé, e che i leader di questa già logora “unità nazionale” dicano cosa vogliono fare di lui.
Tutto sommato, stavolta abbiamo dimostrato di essere un popolo unito, serio e solidale. Ma l’emergenza resta, la “Covid-fatigue” cresce. Va fronteggiata da un governo credibile, non da un governicchio pre-elettorale. Capace di decidere, di agire, di convincere. Solo così si prosciuga il mare torbido nel quale ancora sguazzano i NoVax-NoPass-NoBrain. Ieri alcune centinaia di questi comici spaventati guerrieri sono tornate a riunirsi proprio a Torino, sotto le insegne di un penoso “nuovo Cln” che suona come un vero oltraggio a chi la guerra per la liberazione l’ha fatta davvero, rimettendoci anche la vita, e non contro Mattarella, Draghi e i suoi ministri, ma contro Hitler, Mussolini e gli squadristi neri. Li guidava un sedicente leader. Ha assimilato il “regime fascista al regime draghista”. Ha equiparato il direttore della Stampa di oggi a quello della Stampa del Ventennio, Concetto Pettinato, che fu insediato dal Duce alla guida del giornale. Deliri di poveri complottisti. Cronache di ordinaria follia. Voglio rassicurare il “Subcomandante Mattei” e le sue centinaia di anime perse: questi vaneggiamenti da strada non ci fanno paura e non ci fermeranno. E se l’Italia di oggi fosse davvero una dittatura questi patetici “partigiani” non starebbero a urlare scemenze in piazza Castello, ma a subire torture in via Tasso.
LA STAMPA
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