Mario Draghi e la direzione di marcia
Per questo, in quanto non ha detto né voluto dire si è colto anche un riflesso difensivo. L’obiettivo primario di Draghi, d’altronde, era quello di rassicurare un’opinione pubblica preoccupata e in parte disorientata. Doveva riaffermare che il governo non si sottrae alle scelte, come ha dimostrato riaprendo le scuole anche contro le resistenze di alcuni. Per questo ha ribadito la coerenza delle misure prese. Ha ripetuto che quanto si sta facendo serve a impedire che l’Italia sia obbligata a «chiudere tutto» come, ha puntualizzato, in passato, arretrando rispetto all’Europa non solo sul piano dell’economia ma anche dell’istruzione.
La difesa dei decreti a ripetizione degli ultimi giorni risponde alla stessa esigenza. Quei provvedimenti vengono spiegati come conseguenza inevitabile non solo dell’andamento della pandemia, ma anche di una situazione meno grave grazie alla campagna vaccinale. E qui, i destinatari erano molti: a cominciare dai partiti di una maggioranza inquieta, alcuni dei quali sono tentati di usare strumentalmente ogni apparente affanno di Palazzo Chigi; di accreditare tensioni e smarcamenti anche quando in realtà le decisioni sono prese all’unanimità.
Quasi di rimbalzo, a chi drammatizza Draghi risponde sdrammatizzando. E a chi gli chiede indirettamente di dichiarare i progetti per il futuro, oppone un silenzio accompagnato da un sorriso enigmatico. Se qualcuno vede la scadenza del Quirinale col timore che arrivi una simbolica cometa distruttiva come quella del film catastrofico «Don’t look up», «Non guardare su», ostinandosi a non accorgersene, il premier sembra controbattere che invece è bene guardare in alto; e capire che azzuffandosi invece di cercare l’unità, l’impatto potrebbe far male all’Italia.
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