E Gianni Letta va a Palazzo Chigi. L’ira del Cavaliere: “Non sapevo nulla”
Ilario Lombardo
ROMA. Qualcosa comincia a muoversi davvero anche a Palazzo Chigi. Quando le agenzie battono la notizia che Gianni Letta è stato ricevuto da Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier Mario Draghi, il vertice di centrodestra è finito da più di un’ora. Nel giardino, a favore dei fotografi, i leader hanno improvvisato pose e gesti di intesa con Silvio Berlusconi, prima di salutarlo. Pochi minuti dopo, non sono ancora le sei, Villa Grande è semivuota. Il leader di Forza Italia è attorniato dallo staff. La notizia lascia tutti stupiti. «Che vuol dire che è andato a Palazzo Chigi questa mattina? Prima del vertice?», chiede Berlusconi. La ricostruzione è confermata da fonti a lui vicine: il fondatore di Mediaset, assicurano, non ne sapeva nulla. Né tantomeno, aggiungono, è stato inviato a far visita a Draghi come emissario del presidente di Forza Italia, come qualcuno potrebbe immaginare. Ma soprattutto: avrebbe taciuto dell’incontro per tutta la durata del summit con i leader di Lega e Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. È una precisazione importante, che dà l’idea di come la partita del Quirinale stia slabbrando ogni certezza e di quanto i sospetti, anche tra amici o alleati, siano diventati la matrice comune delle diverse interpretazioni dei fatti.
Il colloquio tra Funiciello e Letta, durato un’ora, avviene su richiesta di quest’ultimo. Le bocche, però, alla domanda su cosa si siano detti, restano cucite. Verrebbe naturale pensare che Letta abbia incontrato pure Draghi, ma lo staff del premier si affretta a smentire. Dalle stanze attigue a quella dell’ex banchiere filtra che si è «verosimilmente parlato anche di Quirinale». E non potrebbe essere altrimenti. Come è stato in precedenza per la Rai, Funiciello è delegato a trattare con i partiti, per sondarne la volontà, i desideri e le intenzioni. Per Draghi è fondamentale capire cosa farà Berlusconi. «Tutto dipende da lui», è la riflessione che fanno a Palazzo Chigi. E Letta, in questo senso, rappresenta il suo migliore alleato. I due hanno un canale aperto da sempre, si sentono spesso, e hanno incrementato i contatti nelle ultime settimane, proprio per capire fino a dove voglia spingersi Berlusconi. Quella che inizialmente sembrava una fantasticheria, e poi un capriccio, si è trasformata in una vera e propria campagna elettorale. E per quanto irrituale come autocandidatura, è una manifestazione di orgoglio che ha avuto l’effetto di far impantanare i piani di Draghi e di rendere molto più complicato il suo trasloco al Colle.
Berlusconi si è impuntato. Letta lo ha intuito prima di tanti altri e lo ha già spiegato al premier in altre occasioni. «Bisogna capire se fa sul serio, se vuole rimanere candidato fino alla fine». Fino cioè alle prime quattro votazioni. L’ex sottosegretario, che ha aiutato il tycoon di Arcore a districarsi nella palude romana negli anni del potere e della gloria a Palazzo Chigi, è tra i più scettici che possa riuscirci. A sentire l’entourage di Berlusconi, durante il vertice Letta non avrebbe detto nulla dell’incontro avvenuto in mattinata. Ma ha spinto a prendere tempo, con una frase che è, insieme, un invito al realismo e un tentativo di congelare la candidatura: «È giusto verificare i numeri, prima di andare avanti».
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