I leader si parlano, ma non si fidano l’uno dell’altro. Il centrosinistra spera nel grande bluff
La speranza del bluff viene anche dalla questione dei numeri che rischiano di assottigliarsi se il 24 gennaio dovessero esserci gli almeno cento positivi che si prevedono (per non dire delle quarantene). Meloni ha insistito per far inserire nel comunicato di Villa Grande che il voto dovrà essere garantito a tutti, ma agli uffici del presidente della Camera Roberto Fico non sono arrivati molti solleciti in questo senso. Il che alimenta il sospetto che in fondo ai parlamentari del centrodestra convenga non si possa fare: una ragione in più per dire a Berlusconi che in questa situazione trovare nuovi voti certi è pressoché impossibile.
Comunque vada a finire, per ora le interlocuzioni su un nome condiviso si dovranno interrompere fino alla nuova riunione in cui la destra verificherà i suoi numeri. E questo – ragionano all’unisono due ministri di fede opposta – non può che avere una conseguenza: «Che saranno tutti costretti a tornare su Draghi».
Paradossalmente, il quadro fermo avvantaggia il capo del governo perché – tanto più se Berlusconi decidesse di andare alla conta nelle prime tre chiame – dopo sarebbe possibile solo una soluzione d’emergenza. E l’uomo delle emergenze ha un nome e cognome che ormai i partiti conoscono bene. Non sarebbe semplice, ma potrebbe riunire il fronte lasciando ai leader la palla del governo. Che potrà essere politico, ma non con i segretari dentro come vagheggiato da Matteo Salvini e Matteo Renzi (che però ha escluso se stesso). Le elezioni sarebbero comunque troppo vicine per poter mettere la faccia su un governo di unità nazionale (sempre che davvero la Lega non si sfili all’ultimo momento).
L’altra strada è sempre quella del Mattarella bis: «Potrebbe succedere come per Napolitano – dice un dirigente dem – allora fummo noi che dopo il tradimento dei 101 andammo a implorarlo perché restasse. Adesso, se Berlusconi sarà impallinato nelle urne, dovrebbe essere il centrodestra a fare lo stesso con Mattarella. Tanto più se ci sarà un problema di agibilità democratica con molti grandi elettori impossibilitati al voto». Il ragionamento, come sempre, esclude la volontà del presidente della Repubblica cui viene opposto un ostinato: «Se è il Parlamento a votarlo, come potrebbe sottrarsi? ».
Gli altri piani appaiono al momento tutti più fragili. Restando formalmente uniti su Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni perdono spazio di manovra, ma stringono un patto: la mossa che decide la fine della corsa, nel bene o nel male, dovranno farla insieme. A questo Letta, Conte, Speranza non sono sicuri di poter opporre altrettanta unità. Tanto che nei rispettivi quartier generali girano le idee più disparate. Come quella di non votare scheda bianca nelle prime tre votazioni, in caso ci fosse l’ex Cavaliere. Ma di scegliere un nome di bandiera talmente alto da surclassarlo nei numeri: Liliana Segre, Claudio Magris. Idea che piace a 5 stelle e Articolo 1, molto meno al Pd. Più prudente nel pensare che – in caso si rischi davvero – la cosa migliore sarebbe uscire dall’aula. E azzerare i rischi.
LA STAMPA
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