La mossa che rivela l’impotenza dei partiti
Bisogna ammettere che Silvio Berlusconi ha almeno un merito: avere svelato l’indecisione, se non l’impotenza dei partiti. Si è potuto infilare nell’immobilismo degli altri, imponendosi come possibile candidato. La benedizione ricevuta ieri dal centrodestra, con la richiesta di «sciogliere la riserva fin qui mantenuta», è un passaggio atteso, benché irrituale. Parlare di «riserva» rispetto a una candidatura si può fare quando si parla di un premier. E lascia interdetti l’immagine di un Berlusconi riluttante, mentre da giorni suoi emissari e lui stesso cercano di conquistare parlamentari nelle file avversarie.
Ma questo serve a mettere a fuoco una seconda sfida. Il fondatore del centrodestra è l’incarnazione di quanto può avvenire in una fase di incertezza. La sua operazione scardina l’idea di un capo dello Stato deciso da una maggioranza che va oltre gli schieramenti: almeno come aspirazione. E la sostituisce con un’opzione dichiaratamente di parte; in questo caso, espressione di un centrodestra convinto di avere «il diritto e il dovere» di proporre una propria candidatura in quanto coalizione di maggioranza relativa.
Sembrano secondarie le contraddizioni emerse anche nelle ultime ore tra i suoi alleati, Lega e Fratelli d’Italia; o i suggerimenti ecumenici del suo consigliere Gianni Letta. La sensazione è che l’indicazione di Berlusconi sia un radicale cambio di metodo. C’è un capo politico che chiede il Quirinale, e lo chiede in quanto tale. Incolpare di questa situazione il leader di Forza Italia, tuttavia, sa di alibi. Il Cavaliere è il sintomo dello stallo, non la sua causa: sebbene per ora contribuisca a impedire che venga superato.
A guardare bene, il modo in cui Matteo Salvini e Giorgia Meloni assecondano le sue ambizioni è figlio della stessa impotenza. Evoca una finzione di unità e di strategia comune del centrodestra, entrambe destinate a mostrare la corda molto presto. Ma il gioco degli specchi non risparmia nemmeno le altre forze politiche, inclini a utilizzare la «campagna acquisti» da parte di Berlusconi come giustificazione della propria indecisione. Stanno assistendo a una manovra che giudicano destinata al fallimento; ma che nello stesso tempo va avanti, li condiziona e mette in mora i loro progetti.
Eppure, in questi tatticismi contrapposti alcuni punti fermi si stanno delineando. Il primo è che tutti debbono fare i conti con i propri limiti, numerici e politici. Il secondo è che chi insiste sulla ricandidatura di Mattarella pesta l’acqua nel mortaio per altri scopi. Il capo dello Stato uscente non ritiene che esistano le condizioni per un bis. Di più: se anche esistessero, non sarebbe disponibile, per questioni istituzionali e di opportunità.
Il terzo aspetto che si va chiarendo è la volontà del Parlamento di arrivare alla fine della legislatura, chiunque approdi al Quirinale. Non a caso, uno dei pretesti utilizzati per bloccare preventivamente una candidatura di Mario Draghi è che si precipiterebbe verso le urne: tesi tutta da dimostrare ma funzionale a chi ha altri candidati o candidate da suggerire. L’ultimo punto fermo tradisce la volontà dei partiti di maggioranza, ma non solo, di non accettare l’ipotesi di un «commissariamento» a tempo indeterminato: benché sia stato una necessità, non un’imposizione.
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