Edoardo Artaldi, il manager italiano che Djokovic accusa per l’errore nel modulo di ingresso in Australia
Edoardo Artaldi conosce Novak Djokovic dal 2009 ed è con lui da quando è sbarcato in Australia. «Viviamo assieme 24 ore su 24». Il n.1 di tennis sembra attribuire a lui l’errore nella compilazione del modulo con gli spostamenti in cui mancava il viaggio in Spagna
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Tra le persone che hanno condiviso i momenti complicati di Novak Djokovic in Australia c’è l’agente italiano Edoardo «Dodo» Artaldi con la sua partner Elena Cappellaro, gli unici a essere rimasti nell’équipe del campione serbo anche dopo la rivoluzione da lui decisa nel 2017.
Artaldi ha conosciuto Djokovic nel 2009, quando lui lavorava per la Sergio Tacchini
e il tennista era quarto nella classifica Atp. Artaldi concluse un
contratto di sponsorizzazione con Djokovic, «sapevamo che aveva le
potenzialità per diventare numero uno», cosa che accadde appena due anni
dopo.
Quando poi Djokovic ha lasciato il brand Sergio Tacchini per un altro sponsor, Artaldi lo ha seguito diventando il suo manager e uomo di fiducia: una relazione professionale che ormai è anche personale. «Praticamente viviamo assieme 24 ore su 24 e sette giorni su sette
– ha detto tempo fa Artaldi al canale italiano della radio australiana
Sbs —. Cerchiamo di essere il più professionali possibile ma il rapporto
ormai è piuttosto personale. Elena e io cerchiamo di creare l’atmosfera di cui ha bisogno, visto il tanto tempo che passa in giro per il mondo e lontano dalla famiglia».
L’amicizia tra Djokovic e Artaldi ha avuto un ruolo anche nella donazione che il campione ha fatto nel 2020, quando le immagini dei morti per l’epidemia a Bergamo facevano il giro del mondo e Djokovic decise di fare una donazione agli ospedali bergamaschi.
Il cugino di Artaldi è Massimo Borelli, primario del reparto di
anestesia e rianimazione dell’Ospedale di Treviglio. «Novak l’ha fatto
col cuore, come gesto di solidarietà nei confronti dell’Italia intera –
disse allora Artaldi —. Non avrebbe voluto rendere pubblica la donazione ma dall’ospedale ci hanno chiesto di poterne dare notizia, per ringraziare lui e per spingere altri a fare lo stesso».
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