Covid, la lezione di Israele (che registra un record di casi): ripartire dai bambini per fermare i contagi


Quanto alla religione, non è un mistero che, nonostante i rabbini si siano per lo più pronunciati a favore della vaccinazione, gli ultraortodossi (12% della popolazione israeliana) sono convintamente contrari non solo al vaccino, ma persino al rispetto delle principali regole di prudenza. Un fenomeno, quello delle resistenze religiose alla vaccinazione, di cui in occidente non si ama parlare, ma che ha compromesso gravemente la vaccinazione nei Paesi europei dell’est e in parte pure in quelli dell’ovest, ora per il peso della Chiesa ortodossa (come in Grecia), ora semplicemente per le diffidenze di una parte del mondo cattolico, specie nelle campagne e fra i fedeli tradizionalisti. Pochi lo sanno, ma anche nella popolazione adulta il peso dei non vaccinati è molto più alto in Israele che in Italia.


Quali lezioni dalle difficoltà di Israele? La prima, ovvia, è che raggiungere una copertura vaccinale elevata, pur non essendo sufficiente a bloccare la circolazione del virus, è assolutamente necessario. La seconda è che bambini e ragazzi, ancora in gran pare non vaccinati o non vaccinabili, sono diventati il tallone di Achille cruciale della lotta al virus. La terza è che, proprio perché per vari motivi una frazione significativa degli under 12 non potrà essere vaccinata, diventa fondamentale affrontare il problema della messa in sicurezza delle scuole, fin qui colpevolmente snobbato dai politici e dalle autorità sanitarie.

Capisco che aumentare il numero di aule, assumere più insegnanti, introdurre la ventilazione meccanica controllata, siano misure che hanno un costo, e inevitabilmente distraggono risorse da ambiti elettoralmente più promettenti. Capisco anche che, ai politici, convenga credere e far credere che le scuole non siano un problema, e che basti dire «no alla Dad» per scongiurare nuove chiusure e nuove quarantene generalizzate. Ma mi permetto di osservare che, nella lotta al virus, il banco di prova cruciale è costituito dalla stagione fredda, e da ciò che nella stagione fredda accade negli ambienti chiusi, a partire da quelli più affollati e in cui si rimane più a lungo. E poiché mettere in sicurezza gli ambienti chiusi richiede tempo (almeno 8 mesi, secondo l’esperienza di chi ci ha provato), il momento di agire è adesso. Farci trovare impreparati per il terzo anno consecutivo sarebbe imperdonabile.

REP.IT
 

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