L’Italia invecchia: serve una nuova mappa della vita

di Federico Fubini

Tre consigli per affrontare una situazione che abbiamo in qualche modo deciso, senza dircelo, perché non abbiamo la volontà politica di fare dell’Italia un Paese per giovani

Mentre si discute di eleggere una donna al Quirinale, facendone il simbolo di una società che evolve, prendiamoci un attimo per vedere cosa accade nell’universo ai piedi del Colle. Quest’anno, per la prima volta nella storia, vivranno nel nostro Paese più signore di ottantasei anni che bambine di meno di uno. Le donne in età fertile, dieci milioni e mezzo all’inizio di questo secolo, saranno sei milioni fra vent’anni. E poiché il numero di figli nati per ciascuna continua a calare, a uno dei livelli più bassi al mondo, questa demografia non è più un’ombra che incombe sulla nazione. È il nostro destino. Dobbiamo guardarla in faccia.

Farlo attraverso il prisma dei numeri non è difficile. Sono così clamorosi da risultare quasi spettacolari. Considerate questi, dedotti dai dati Istat: nei prossimi vent’anni — cioè, fondamentalmente, domani — la popolazione in età da lavoro calerà di 6,8 milioni di persone, la popolazione in età di pensione aumenterà di 6,6 milioni, mentre i bambini fra gli zero e i quattordici scenderanno di 1,2 milioni solo perché sono già pochi.

Non solo l’Italia non è un Paese per giovani ma, dati gli spostamenti inesorabili della demografia, non lo sarà mai. Non nel tempo delle nostre vite. Se lo diventerà, serviranno molti decenni ma nel frattempo noi dobbiamo arrivare vivi — economicamente, socialmente vivi — a quel momento. La conversazione pubblica deve dunque cambiare: non si tratta solo di chiedersi come modifichiamo il profilo demografico dell’Italia ma di come otteniamo, con questo profilo, la crescita e la tenuta sociale che ci servono a non fallire sul piano finanziario e a non andare alla deriva su quello politico.

Perché se siamo arrivati a questo punto — un Paese popolato fra vent’anni per un terzo da «anziani» — non è stato certo un caso. Siamo arrivati dove volevamo. Intendiamoci, non che faccia piacere a qualcuno questo incredibile squilibrio fra le età, ma in fondo pochissimi fra noi sono disposti — individualmente e collettivamente — a sobbarcarsi i costi necessari a cambiare traiettoria. Fra affrontare quei costi e accettare lo squilibrio scegliamo, fondamentalmente, lo squilibrio. L’assegno unico varato dal governo è una misura civile e male non farà, certo. I nidi d’infanzia del Recovery neanche, se avremo i soldi per pagarne il personale. Aiuta anche l’aver (faticosamente, clandestinamente) allargato per il 2021 l’immigrazione legale a 70 mila persone, benché sia sempre poco in un Paese dove nascono ogni anno trecentomila persone meno di quante ne muoiano.

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