Ira di Berlusconi sugli alleati: non cercano voti. Anche i fedelissimi temono le conseguenze di un flop

FRANCESCO OLIVO

Gli amici lo invitano alla prudenza, gli avversari lo attaccano, gli alleati non collaborano. Il quasi annuncio della candidatura di Silvio Berlusconi, venerdì scorso al vertice di villa Grande, non ha avuto gli effetti sperati. Oggi il conto alla rovescia parte davvero, manca una settimana al 24 gennaio e la costruzione della candidatura mostra crepe che solo i pasdaran vogliono negare. Uno di questi, almeno un tempo, era Denis Verdini, il quale dagli arresti domiciliari, scrive una lettera a Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri, svelata da Il Tirreno, nella quale sostiene di appoggiare la candidatura di Silvio, ma invita a cambiare strategia, per evitare «un disastro». L’ex senatore toscano poi suggerisce di non impedire a Salvini la ricerca di un altro nome, cosa che Berlusconi non vuole sentire. Il fatto che il leader della Lega sia il compagno della figlia di Verdini alimenta la voce, che circola da giorni, di un ruolo da consigliere del “suocero” in questa partita difficile. Una circostanza smentita da fonti vicine al segretario, ma sostenuta da molti esponenti di Forza Italia, «Denis lavora per Salvini».
La settimana che si apre oggi servirebbe appunto a mettere dei mattoni intorno all’idea di mandare il Cavaliere sul Colle, prima dell’inizio della prima votazione. L’obiettivo primario è quello di cercare dei voti fuori dal centrodestra e qui, al di là delle simpatiche scenette delle telefonate con Vittorio Sgarbi, non si fanno grandi progressi. Chi li deve cercare questi parlamentari? Il tema è stato al centro del vertice del 14 gennaio. Gli alleati utilizzano questo argomento per mascherare la loro diffidenza: «Dicci i nomi di chi ti appoggia, non basta citare cifre non verificate». Un’insistenza che ha seccato il Cavaliere: «Aiutatemi voi a trovarne, non vi limitate a chiedere quanti ne abbiamo». Eppure, nonostante gli appelli, in tre giorni non è cambiato molto. Lega e Fratelli d’Italia si limitano a un coordinamento per verificare lo stato degli eventuali nuovi consensi, ma non partecipano attivamente. «Sarà un semplice monitoraggio», precisa Ignazio La Russa. «Mi sembra una richiesta bizzarra – dice un alto dirigente del Carroccio – noi gli garantiamo i nostri di voti, il resto tocca a loro». Un atteggiamento che aggiunge inquietudine in Forza Italia, «sono alleati o notai?», si sfoga un fedelissimo berlusconiano.
Per cambiare lo stile di questa campagna elettorale inedita e secondo molti amici un po’ sgangherata sarebbe stato utile il viaggio che Berlusconi aveva messo in agenda per oggi a domani a Strasburgo. Alla riunione del Ppe e alla commemorazione di David Sassoli, il Cavaliere sarebbe comparso con Mario Draghi e altri leader internazionali, come Emmanuel Macron. E il giorno dopo avrebbe partecipato all’elezione del nuovo presidente, nella veste di maggiorente del Ppe, tanto più che i popolari gli hanno mostrato il proprio appoggio. Pur essendo rimasto molto colpito dalla scomparsa di Sassoli, Berlusconi ha preferito però cancellare una trasferta fisicamente faticosa che lo avrebbe esposto oltre modo in un momento delicato, meglio evitare telecamere e taccuini.
Prudenza, insomma, quella che chiedono gli amici più stretti. Qui si gioca su un crinale molto sottile: nessuno vuole apparire un traditore (ci vuole un attimo) agli occhi del capo, ma «chi gli vuole bene davvero» sta cercando il modo di evitare una sconfitta in aula che potrebbe essere vissuta dal Cavaliere come un’umiliazione.

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