Il doppio timore di Draghi: se la maggioranza si spacca sul Quirinale il governo rischia
Ed è sempre una profonda preoccupazione per quel che può succedere «se non si fissano bene gli obiettivi», ad animare il ministro del Lavoro Andrea Orlando. Uno dei maggiori esponenti della sinistra dem, che ieri ai suoi spiegava: «Tutti stanno sottovalutando quel che succede con la candidatura di Berlusconi e quanto questo evento abbia drammatizzato la situazione». Perché per uscire dall’angolo in cui il centrodestra sembra aver portato tutti, «ci vuole polso e non sono sicuro che Matteo Salvini ne abbia». Certo, se Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia si tirassero indietro cambierebbe tutto, ma se si arriva alla quarta votazione il quadro non può che complicarsi. Indipendentemente da tutti i ragionamenti sul da farsi, scheda bianca, uscita dall’aula, candidatura di bandiera. «Il mio ragionamento è semplice – dice Orlando – più che partire dai nomi dovremmo partire dall’obiettivo. Se vuoi tenere la legislatura ancora un anno e non vuoi che si sfasci tutto anche alle elezioni, serve un clima di legittimazione fra le forze politiche. Serve che il prossimo presidente nasca dal dialogo tra i principali partiti. Draghi va preservato, ma anche se si arrivasse a Draghi o perfino a un Mattarella bis, bisogna vedere come si fa». Se con lo scontro, se con maggioranze non piene, «tutto si sfalderebbe comunque». Perché «serve un dialogo autentico tra Pd, M5S e Lega per un presidente di garanzia. Se fosse il premier, quel dialogo deve avere un sovrappiù che consenta di far nascere un governo». Vero, non sgonfio, non incapace di andare avanti se non per pochi mesi.
E quindi è la paura in questi giorni a dominare tutti. I vertici 5 stelle hanno – come e più degli altri – il problema di convincere i parlamentari che la legislatura si salverà in ogni caso, ma la verità è che si naviga per mari sconosciuti, perché nella storia della Repubblica non era mai accaduto che la vita di un governo fosse così legata alla scelta del capo dello Stato. Questo complica moltissimo. Rende il rebus quasi irrisolvibile, se non emerge una volontà comune che riesca a tenere insieme destra e sinistra.
E a complicare ci sono poi le diffidenze reciproche. Giuseppe Conte, ad esempio, che come Letta ha tenuto ancora tutte le carte in mano in attesa di capire quale giocare, ha detto a più persone di non fidarsi dell’attivismo di Luigi Di Maio e di temere in questo momento che il ministro degli Esteri stia lavorando per Mario Draghi senza coordinarsi con nessuno. «Non si vede come possa fidarsi di Luigi – dice uno dei fedelissimi del presidente M5S – visto che non fa che incontrare persone e leader delle altre forze politiche senza riferire mai nulla, e senza smentire i retroscena sui giornali». Non sarà il sospetto ad aiutare a tenere uniti i parlamentari quando sarà il momento. In questi giorni però il capo della Farnesina ha davvero capito che – con il centrodestra così schierato – se la prima scelta rimane sempre la rielezione di Sergio Mattarella, la seconda – in caso non si creino le condizioni – non può che essere Mario Draghi.
LA STAMPA
Pages: 1 2