Un italiano su quattro vive sulla soglia della povertà: ecco le cinque mosse del governo per affrontare la crisi
Sul lavoro povero «non si può rimanere senza fare niente». Lo ha detto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando intervenendo alla presentazione del Rapporto del Gruppo di lavoro sulla povertà lavorativa spiegando che «rimanere fermi vuol dire accettare l’idea del lavoro povero». «Non si può dire che non si fa nulla sulla rappresentanza – ha detto – e che non si fa nulla sul salario minimo. Non c’è ancora il dato sul 2020 ma credo che ci sarà un accentuazione del fenomeno. Sicuramente con la pandemia la situazione non è migliorata».
Il rapporto del ministero
Garantire minimi salariali per i settori in crisi, irrobustire gli strumenti di vigilanza documentale delle Amministrazioni pubbliche, introdurre integrazioni del reddito (in-work benefit), incentivare le imprese a pagare salari adeguati con forme di accreditamento, gogna pubblica per chi non rispetta la normativa sul lavoro, revisione dell’indicatore Ue di povertà lavorativa.
Sono queste le cinque proposte avanzate nel documento finale elaborato dal Gruppo di lavoro “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” e illustrato oggi pomeriggio dal Ministro del Lavoro Andrea Orlando in videoconferenza. Obiettivo: la lotta al lavoro povero. «In Italia un quarto dei lavoratori italiani ha una retribuzione individuale bassa – cioè, inferiore al 60% della mediana – e più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà, ossia vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana», come evidenzia il documento stesso.
Quella elaborata dal Gruppo di lavoro è dunque una «strategia di lotta alla povertà lavorativa» che punta su una molteplicità di strumenti «per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo efficace». Proposte dunque che agiscano sia a livello predistributivo (cioè sui redditi di mercato) che a livello redistributivo e trasversale e che, anche se al momento sono state pensate «in senso generale e microeconomico» per supportare i «redditi individuali e famigliari», potrebbero essere «immaginate anche a livello settoriale o locale». A cui si dovrà affiancare però una strategia complessiva che affronti «le debolezze macroeconomiche e di politica industriale, le politiche per il lavoro (politiche attive, regolazione lavoro atipico, contrattazione) e gli investimenti in istruzione e formazione».
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