Il risiko del dopo Draghi

Annalisa Cuzzocrea

«Giuseppe, io sono una persona seria. Mi hanno offerto i voti di un pezzo di 5 stelle, ma io non tratto con chi ti vuole tradire». Per capire quanto si sia fatta complicata la trattativa per il Quirinale, sarebbe stato utile ascoltare la telefonata tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Due nemici, da quando cadde il governo in cui erano insieme. Due leader di partito costretti ora a tornare a parlarsi, e a fidarsi l’uno dell’altro.

È stato il segretario della Lega a riferire al presidente M5S quel che è successo a via della Scrofa, lunedì, quando nello studio di un commercialista romano ha incontrato Riccardo Fraccaro, che pure ha negato fino all’ultimo. L’ex ministro della Funzione pubblica nel Conte 1, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Conte 2 – raccontano due deputati leghisti – è andato dal leader del Carroccio a dire: «Avrai i voti di Parole Guerriere e Italia 2050, le correnti di Dalila Nesci e Carlo Sibilia, se proporrai il nome di Giulio Tremonti. In quel caso noi ci siamo e proveremo a trascinare gli altri. Punta su di noi».

Visto da Conte, è praticamente un colpo di Stato. È «gravissimo» – ha detto in cabina di regia con i fedelissimi – e ha annunciato che «ci saranno conseguenze. Anche perché Fraccaro è un probiviro, dovrebbe essere lui a sanzionare questo tipo di azioni, non certo a promuoverle».

La storia racconta la difficoltà del momento. I 5 stelle dicono ufficialmente, per giorni, che serve un altro nome, che Draghi non va bene. Conte offre a tutti quelli che incontra l’ex presidente del Consiglio di Stato, ora alla Consulta, Filippo Patroni Griffi; Andrea Riccardi della comunità di Sant’Egidio; l’ex ministra Paola Severino. Ma in serata, all’assemblea dei deputati, arrivano le prime aperture: con Stefano Buffagni che dice: «Ci sono alcuni nomi invotabili, ma dobbiamo avere anche l’onestà intellettuale di dire che non possiamo non considerare quello di Mario Draghi un profilo di altissimo livello».

E così, se lì bisognerà arrivare – al presidente del Consiglio che viene eletto presidente della Repubblica – servirà farlo preparati. C’è bisogno di un patto su un nuovo governo, «meno tecnico e più politico». E il premier dovrà essere una figura larga, istituzionale. In pole position, partono il ministro della Transizione digitale Vittorio Colao e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Il primo, garantirebbe una maggiore – necessaria – competenza sul piano economico. Sarà un anno durissimo per la messa a terra del Pnrr e per la revisione del patto di stabilità in Europa. C’è però un’altra possibilità: Marta Cartabia. Che attira ancora un po’ di ostilità da parte dei 5 stelle per lo scontro sulla riforma della giustizia, ma potrebbe comunque essere un buon nome di raccordo visto che, per molti di loro, l’incidente sulla prescrizione è superato. «E poi è donna», aggiunge chi lo propone. Come se fosse l’ideale, forse perché a Palazzo Chigi dovrebbe restare al massimo fino al 2023. Partono con meno chance, ma non si sa mai, sia Daniele Franco che Enrico Giovannini.

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