Cosa distingue la «buona politica»

Il punto debole delle democrazie è che in esse l’orizzonte temporale della politica è sempre relativamente ristretto, vincolato dalle scadenze elettorali e dai cambiamenti negli equilibri parlamentari. Gli autocrati, come il cinese Xi Jinping, non hanno gli stessi vincoli. Il loro orizzonte temporale è più ampio. La ristrettezza dell’orizzonte temporale in democrazia fa sì che i politici debbano sempre preoccuparsi di soddisfare interessi (partigiani) di breve termine, dare soddisfazione alle richieste qui e ora dei loro elettori. Coloro che, sotto sotto, lo sappiano o no, disprezzano la democrazia, li accusano di andare «a caccia di voti». È certo che lo fanno, ed è anche giusto. È questa l’essenza della democrazia. Il problema è un altro. La (necessaria, inevitabile) soddisfazione degli interessi partigiani, degli interessi a breve termine degli elettori, può essere resa compatibile, nell’azione di governo, con il perseguimento di obiettivi di più lungo respiro? La politica consuma qui e ora tutte le uova disponibili oppure ne lascia intatte alcune in modo che domani circoli qualche gallina?

La differenza fra una cattiva politica (vengono soddisfatti solo gli interessi a breve termine) e una buona politica (c’è equilibrio fra interessi a breve e a medio termine) non dipende dalla «bontà» o dalla «cattiveria» dei politici. Dipende dall’esistenza o meno di strutture e meccanismi che facilitino oppure ostacolino la buona politica.

Se l’orizzonte temporale della democrazia è necessariamente più ristretto di quello dei dispotismi, è ugualmente possibile, in certe condizioni, contemperare interessi di breve e medio termine. Ciò accade nell’uno o nell’altro di due casi. Se il sistema istituzionale premia la stabilità di governo e dà all’esecutivo, oltre che la durata (una legislatura o più), anche gli strumenti per attuare le sue politiche vincendo le resistenze dei tanti poteri di veto esistenti. Oppure se, in alternativa, esistono forti organizzazioni di partito in grado di dare continuità all’azione di governo e di perseguire, in virtù della loro forza, mete che non si risolvano solo nel soddisfacimento di interessi immediati.

Il problema della democrazia italiana è che non disponiamo né dell’una né dell’altra cosa. Continuiamo ad avere governi istituzionalmente deboli(in balia dei poteri di veto) e ostaggi dei cangianti umori di fragili e assai poco coese maggioranze parlamentari. Niente a che vedere con il sistema di governo britannico (il governo del Premier), con quello francese (il semi-presidenzialismo) o quelli tedesco o spagnolo (il Cancellierato). L’ultimo tentativo, quello di Matteo Renzi, di cambiare l’assetto di governo è stato seccamente affossato dagli elettori (referendum del 2016). D’altra parte, non ci sono nemmeno (non ci sono più) organizzazioni di partito forti, con solide culture politiche e un buon radicamento sociale. Mancando entrambe le condizioni, la «buona politica», quella che bilancia breve e medio termine, è quasi impossibile. Stiano al Quirinale o a Palazzo Chigi , alla democrazia italiana servono gli intrusi.

CORRIERE.IT

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