Mattarella o Amato, solo con loro Draghi può restare premier
ILARIO LOMBARDO
Sabato pomeriggio Goffredo Bettini chiama Luigi Di Maio al telefono. «Vediamoci, così chiacchieriamo un po’». L’uomo delle trattative del Pd ha bisogno di sentire, di sondare, di capire dal ministro degli Esteri quanto l’anarchia del M5S sia davvero ingovernabile. I due si vedono, e ragionano sugli scenari più probabili. Sono d’accordo su un punto: la strada che porterebbe Mario Draghi al Quirinale è complicata. Ma sembra esserci davvero solo un’alternativa plausibile, e conduce nuovamente a Sergio Mattarella, il presidente riluttante ad accettare il bis. Nel confronto tra Bettini e Di Maio si parla anche di altri nomi. Di Giuliano Amato, l’ex premier e giudice della Corte Costituzionale, che un pezzo della sinistra Pd, che va da Andrea Orlando a Peppe Provenzano, porterebbe subito al Colle, nonostante i quasi 85 anni di età e una popolarità che non è propriamente ai massimi livelli nelle generazioni che ricordano il prelievo forzoso dal conto degli italiani che, da presidente del Consiglio, Amato impose in una notte del luglio 1992.
Di Maio sembra conoscere bene gli umori che si agitano a Palazzo Chigi. E la sua impressione è quella di chiunque altro, in queste ore così confuse, abbia agganciato un interlocutore nello staff del premier. Sulla scelta del prossimo Capo dello Stato i leader dei partiti devono tenere in considerazione i contraccolpi, inevitabili, che ci saranno sul governo di unità nazionale. Detto altrimenti, attorno a Draghi si avverte un timore: che i candidati spuntati finora non abbiano «l’altissimo profilo» e «la necessaria autorevolezza internazionale», per usare le espressioni di questi giorni dei leader, dell’ex presidente della Banca centrale europea. Esclusi Mattarella e, in subordine, Amato, tutti gli altri potrebbero squilibrare il rapporto di pesi e contrappesi che è consigliabile mantenere tra due istituzioni come il Quirinale e la presidenza del Consiglio. È evidente che questo ragionamento nasce dopo le indiscrezioni su Pier Ferdinando Casini. Sulla carta il profilo del senatore sembra avere tutte le qualità elencate dai partiti: è un ex presidente della Camera, politico navigatissimo, superstite di infiniti naufragi e tante legislature, ed è di dichiarata fede atlantista. È vero che se fosse eletto «dalla maggioranza più ampia possibile» rispetterebbe l’auspicio che fece lo stesso Draghi lo scorso 22 dicembre. Ma chi conosce l’ex banchiere sa che in quel momento le sue parole si riferivano a ben altre personalità. Mattarella, citato esplicitamente in quella e altre occasioni pubbliche, e Amato, nonostante si racconti che con l’attuale premier si sia creata una certa freddezza nei rapporti. Amato è comunque un ex presidente del Consiglio, studioso molto stimato e, come Mattarella fino al giorno della sua investitura, è un giudice costituzionale. Infine, ha dalla sua un apprezzamento trasversale che può ammorbidire le diffidenze persino dentro la Lega e il M5S, soprattutto se in cambio può garantire la continuità del governo, con Draghi al suo posto.
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